Pil, il governo esulta ma Confindustria gli rovina la festa

La minima ripresa dello 0,3% non convince Squinzi: «Merito di dollaro, petrolio e Bce: servono le riforme» Il Pd grida al miracolo economico per l'occupazione

RomaIn quindici giorni il Pil aumenta dello 0,2%. Lo dice l'Istat. Il 14 agosto l'Istituto centrale di statistica comunicava che la crescita acquisita per il 2015 era pari allo 0,4%. Ieri è diventata dello 0,6%. La differenza è da attribuire alla natura del dato: preliminare il primo, ufficiale il secondo. Quello preliminare indicava un aumento del Pil dello 0,2% sia nel primo sia nel secondo trimestre. Quello definitivo alza la crescita allo 0,3% a trimestre.

Omogenei, invece, i termini di confronto per la disoccupazione usati dall'Istat. In giugno era del 12,7%, in luglio è sceso al 12%. Vale a dire che in un mese hanno trovato lavoro 143mila persone; più di 200mila nell'ultimo anno.

Se a Ferragosto, il governo vedeva allontanarsi la possibilità di centrare gli obbiettivi di finanza pubblica (vista la scarsa crescita del Pil), ora Matteo Renzi - in un videomessaggio - dice che l'Italia può puntare alla «maglia rosa» della crescita Ue. «Siamo tornati nel gruppo di testa grazie alle riforme», commenta il presidente il presidente del Consiglio.

Vale la pena di ricordare che la differenza fra il dato Istat di Ferragosto e quello di ieri è dello 0,1% a trimestre. Determinato, in buona parte, per la quantificazione (+0,4%) dell'accumulazione delle scorte realizzato fra gennaio e giugno.

Quelli fotografati dall'Istat - osserva Giorgio Squinzi, presidente della Confindustria - «spero indichino l'avvio della vera ripresa. Sono dati positivi che vanno nella giusta direzione». Ma dopo l'apertura di credito, il leader degli industriali sottolinea che l'aumento del Pil dello 0,3% «non basta. Anche perché non è merito nostro. È dovuto - argomenta - solo al dimezzamento del prezzo del petrolio, al rafforzamento del dollaro ed al quantitative easing». Secondo Squinzi, «non abbiamo fatto le pulizie interne». Per questo, «bisogna fare le riforme per far ripartire il Paese in modo forte, come merita».

Susanna Camusso, segretaria della Cgil, invita il presidente del Consiglio ed il presidente della Confindustria «a smetterla con la propaganda. Se tornassero con i piedi per terra - sottolinea - il Paese potrebbe cogliere le opportunità che sembrano prospettarsi».

Un richiamo (caduto nel vuoto, a dir la verità) a far finire le polemiche si alza da Annamaria Furlan, segretaria della Cisl. «Il governo e tutte le istituzioni pubbliche devono favorire un clima di coesione sociale e di maggiore cooperazione nel Paese». Solo così - aggiunge - si possono creare investimenti e nuovi posti di lavoro.

Appello caduto nel vuoto. Il Pd, sulla scia di Renzi, grida al miracolo economico per i dati sull'occupazione. Il governo dice che la crescita del Pil è merito delle riforme, senza aver nemmeno letto il comunicato dell'Istat. L'opposizione sembra scettica sui dati dell'Istituto di statistica.

Due economisti, uno del Pd ed uno di Forza Italia, però concordano su un dato: il Jobs Act non c'entra nulla con i risultati fotografati. Stefano Fassina e Renato Brunetta, ancora una volta sono su posizioni identiche: come quando tifavano perché vincesse il «no» al referendum greco.

Fino al punto che Fassina usa le identiche argomentazioni di Squinzi per spiegare che la crescita del Pil non è merito del governo, ma dipende «dalla disperata politica monetaria della Bce e dal calo del prezzo del petrolio: fattori precari e con effetti transitori». Mentre Brunetta sospetta che l'Istat abbia fornito in anticipo i dati a Palazzo Chigi.

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