«La magistratura non è e non deve mai diventare un attore della scena politica». Parole calibrate attentamente eppure nette, sprezzanti. A pronunciarle sono i vertici di Magistratura indipendente, Stefano Buccini e Angelo Piraino. Nel mirino del presidente e del segretario di Mi ci sono le correnti rosse delle toghe Area e Md, colpevoli di aver bocciato le mosse dell'esecutivo sull'immigrazione e il decreto anti rave, la cui formulazione ha irritato il presidente delle Camere Penali Gian Domenico Caiazza che su Facebook lo definisce «una sgrammaticatura a tratti delirante».
Alla vigilia della nomina in Parlamento dei 10 membri laici tra cui emergerà il prossimo vicepresidente dell'organo di autogoverno della magistratura, Mi lancia segnali di fumo neanche troppo timidi al centrodestra, che ha l'occasione storica di portare a casa la guida del Csm, vero crocevia della riforma della magistratura e della separazione delle carriere che Giovanni Falcone considerava cruciale. La maggioranza avrà sette membri laici, l'opposizione tre (uno a testa per Pd, M5s e Azione-Italia viva). Ma servono almeno 16 voti e soprattutto un nome non troppo di parte che convinca. A dare le carte dall'altra parte è proprio Mi, che ne ha eletti sette. Area ne ha sei, quattro Unicost, due Md. A cui si aggiungono un indipendente e i due membri di diritto, il pg della Cassazione Luigi Salvato (Unicost) e il primo presidente della Cassazione Pietro Curzio, vicino alla sinistra. Serve un nome autorevole che convinca Mi: Giorgia Meloni sembra voler puntare sul un ex An, il penalista calabrese Giuseppe Valentino, Forza Italia propone Pierantonio Zanettin e Francesco Paolo Sisto. L'accordo tra toghe sembra ormai impossibile, vista la durezza della missiva: «Md profetizza una lunga stagione di resistenza costituzionale, Area critica la politica migratoria. Un simile approccio ideologico ci riporta indietro a un passato che si vuole dimenticare», scrive Mi, quando «la magistratura era vista dai cittadini come politicizzata». Anche la sinistra non si è ancora ripresa dallo choc della sconfitta, e lo si capisce dal nervosismo con cui su Twitter la vicepresidente del Senato e responsabile Giustizia Pd Anna Rossomando commenta la commissione d'inchiesta sulla magistratura proposta da Pietro Pittalis di Forza Italia. «Un evergreen, un eterno gioco dell'oca che ti riporta indietro di 30 anni». Di certo, non basta un tweet a ridare alle toghe la credibilità perduta dopo gli scandali Eni, Storari-Davigo e Palamara, soprattutto viste le continue interferenze delle correnti rispetto ai legittimi piani del governo che il Csm uscente in regime di prorogatio ha prodotto (vedi lo scontro sulle «pagelle» ai magistrati), indispettendo il capo dello Stato Sergio Mattarella, che ha messo nero su bianco il suo disappunto.
«La situazione è fluida, ma serve altro tempo perché il clima deve assestarsi», commenta al Giornale una fonte vicina a un ex membro del Csm. Le prossime due settimane saranno decisive. Se sarà fumata bianca vedremo, ma la carne al fuoco è già troppa: la riforma firmata dall'ex Guardasigilli Marta Cartabia (data in corsa al Csm in quota Pd), la separazione delle carriere, ma anche le modifiche all'ergastolo ostativo e soprattutto un Pnrr da rispettare. «La magistratura non è assolutamente in grado di affrontare l'impatto devastante della Cartabia, estremamente complessa e corposa», dice Dario Grohmann, già Pg in Corte d'Appello a Trieste.
Ma il Pnrr pretende dal 2023 una durata dei processi civili ridotta del 40% e giudizi penali tagliati del 25%. Impossibile con questa fame di magistrati (ne mancano 1.859 sui 10.771 previsti in organico), tanto il Guardasigilli Carlo Nordio potrebbe far entrare subito in servizio i vincitori dell'ultimo concorso.
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