«No è diverso, la mia vicenda è più drammatica, è terminata la mia carriera politica». Esordisce così il sindaco di Benevento Clemente Mastella a proposito dell'indagine su Giorgia Meloni, Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano. Mastella, infatti, si dimise da ministro della Giustizia del governo Prodi il 16 gennaio del 2008 dopo un'inchiesta che coinvolse lui e la moglie Sandra Lonardo, all'epoca presidente del Consiglio regionale della Campania. Procedimento dal quale sia Mastella sia Lonardo sono stati assolti dopo un lungo calvario giudiziario.
Giustizia e politica. Di nuovo. In questi giorni le è capitato di pensare alla sua vicenda giudiziaria?
«La mia vicenda è più drammatica. In questo caso ognuno rimarrà al suo posto, nel mio caso è terminata la mia carriera politica. Io poi sono tornato sul territorio e ora sono contento di fare il sindaco di Benevento. Ma io ero ministro. È una cosa per cui chi ha determinato questa situazione dovrebbe vergognarsi. E poi quale atto dovuto? Se ci sono 60mila richieste contro di me alla Procura allora io dovrei avere 60mila atti dovuti. Bisogna ragionare, io questo lo dico nell'interesse della magistratura. La separazione delle carriere non è il vero problema. Il vero problema è la lunghezza dei processi. Tu parti e non arrivi più. Chi mi restituirà anni di vita, di salute? Un politico non recupera più. Io ho fatto il sindaco, ma le ripeto che ero ministro».
E allora come se ne esce?
«Un Paese democratico come il nostro con un conflitto permanente non regge. Mi aspetto che Mattarella richiami tutti al buonsenso. Nel mio caso, l'arresto di mia moglie avvenne nel giorno in cui da ministro andavo a fare la relazione in Parlamento sullo stato della giustizia. Tutto questo non aiuta per prima proprio la giustizia».
Il centrodestra collega l'apertura dell'indagine su Almasri alla riforma della giustizia. Anche lei voleva riformare il sistema. Pensa ci siano connessioni?
«Io parlo solo per il mio caso. E dico che, non sono romano, ma come diceva Giulio Andreotti "a pensare male si fa peccato ma spesso si indovina"».
Politicamente come si ricompone questo scontro?
«Bisogna fare un appello a tutti, al Parlamento e al governo, perché il rischio è che si arrivi alle guerre puniche. Questa vicenda riguarda il cittadino, che rischia di essere smarrito. Si stabilisca il principio biblico per cui nessun procuratore deve essere alle dipendenze del governo e si va avanti».
Ma è già così nella riforma.
«Siccome l'opposizione dice che con la separazione delle carriere i procuratori saranno alle dipendenze del governo, io allora le dico che sono per l'autonomia tout court dei magistrati. Io non sono invece per i tempi processuali lunghi. Quelli ti ammazzano».
Quanto è durato il suo processo?
«La cosa assurda è la durata: 11 anni e facevo il ministro e ora non lo faccio più. Si era arrivati a considerare tutto l'Udeur, che era il mio partito, un'associazione a delinquere. Poi tutto è finito nel nulla».
Lei sarebbe a favore della responsabilità civile dei magistrati?
«Se si scopre che c'è stata faziosità, come nel mio caso, perché no? Se c'è il dato di una sorta di dolo non è accettabile».
Da politico navigato, darebbe un consiglio al centrodestra in questa fase?
«Io al loro posto, sulla giustizia, farei la mossa del cavallo.
La riforma della separazione delle carriere è stata già approvata alla Camera, ora andrei al Senato e aprirei un tavolo e direi "benissimo, noi abbiamo fatto questo, siamo ancora disponibili a modificare, ma senza toccare i principi per cui ci hanno votato i nostri elettori, vediamo cosa si può modificare"».
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