La linea di Palazzo Chigi resta «prudenziale». E con il principale obiettivo di evitare fronti polemici con Mario Draghi. Di cui Giorgia Meloni continua ad avere grande stima, convinta che - nonostante una maggioranza sì larghissima, ma per nulla omogenea - sia comunque riuscito a mettere a punto un Pnrr per certi versi irrealizzabile: nato e pensato sulle ceneri dell'emergenza sanitaria dovuta al Covid, ma poi effettivamente concretizzato durante una crisi geopolitica mondiale che l'Europa non viveva dalla fine della Seconda guerra mondiale. Un cambio di passo quasi impossibile da gestire.
Eppure - nonostante la consapevolezza e i silenzi - nel governo sono in molti a pensare che i tempi di realizzazione del Pnrr fossero «evidentemente» non realizzabili. E che il ritardo fosse cronico. Ci sono ministri, per dire, che continuano a ironizzare sulla conferenza stampa di fine anno di ormai quasi dodici mesi fa, quando Draghi disse che era «tranquillo», che entro il 30 giugno sarebbero stati raggiunti «tutti gli obiettivi» e che «il lavoro sul Pnrr» avrebbe potuto continuare «indipendentemente da chi ci sarà» a Palazzo Chigi. Esattamente il contrario di come la vedono nel governo, tanto da decidere di fare un vero e proprio tagliando al Recovery.
Pur avendo incassato il via libera dalla task force della Commissione Ue che in questi giorni è a Roma per le verifiche contabili e di obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, infatti, sia Meloni che Raffaele Fitto - ministro per gli Affari europei con tutte le deleghe sul Pnrr - sono intenzionati a fare un check dei progetti legati al Recovery. La «pagella del primo quadrimestre» arriverà a metà gennaio, mentre lo «scrutino» finale è atteso per marzo. A quel punto i dossier ritenuti troppo in ritardo o comunque economicamente non sostenibili saranno «rimodulati». E spostati sul Fondo per lo sviluppo e la coesione, così da liberare le risorse del Pnrr e coprire l'aumento del 30% del costo delle materie prime che - lo ripete da tempo Fitto - rischia di compromettere buona parte dei bandi legati al Recovery. Non è un caso che lunedì scorso, alla presentazione del rapporto Svimez, il ministro per gli Affari europei abbia detto in chiaro che «bisogna smontare alcuni dogmi», come «ad esempio il Pnrr». Il punto sono «il contesto» e «i cambiamenti», come il passaggio dall'emergenza Covid alla guerra. Per questo, insisteva Fitto, bisogna «ragionare sulla drammatica rapidità dei cambiamenti». Non è un mistero, infatti, che il prezzo di molte materie prime sia schizzato dopo l'invasione russa in Ucraina, con molti bandi del Pnrr finiti deserti. Di qui la decisione di fare un primo bilancio a gennaio e poi tracciare una riga a marzo. Così da accantonare i progetti - buona parte legati alle Infrastrutture - destinati a rimanere al palo e drenare invece risorse sugli altri dossier davvero realizzabili.
Proprio ieri, intanto, in un documento depositato alla commissione Bilancio della Camera, la Corte dei Conti si
è assestata sulla linea della Commissione Ue sul fronte dell'innalzamento del tetto al contante e Pos. Indicazioni - si legge nel testo - «non coerenti con l'obiettivo di contrasto all'evasione fiscale previsto nel Pnrr».
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