«Gli interventi del Bosco dello Sport di Venezia (nei pressi dello stadio Penzo) e dello stadio Franchi di Firenze non potranno essere rendicontati a valore delle risorse Pnrr». Lo ha reso noto ieri il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, aggiungendo che «i servizi della Commissione Ue hanno confermato la non eleggibilità di entrambi gli interventi» nell'ambito dei Piani urbani integrati (Pui) approvati dal Tesoro un anno fa. Il governo, ha concluso il ministro, nei prossimi giorni «attiverà ogni azione necessaria per assicurare il tempestivo sblocco della rata» da 19 miliardi che doveva essere erogata alla fine dello scorso mese.
Lo scioglimento dell'impasse sulla ristrutturazione degli stadi di Firenze e Venezia è un nodo cruciale per sbloccare i fondi europei. Ovviamente, i sindaci Dario Nardella (in fumo 55 milioni di contributi per il Franchi) e Luigi Brugnaro (93 milioni volatilizzati d'un botto) si sono lamentati per la decisione a loro dire penalizzante. La maggioranza, tuttavia, ha ottenuto il sostegno del leader di Iv, Matteo Renzi, che ha pubblicamente sconfessato il suo successore a Palazzo Vecchio Nardella («I soldi del Pnrr non si possono usare così»), mentre il Pd s'è accodato ai due sindaci delusi.
Se legittimamente Roma ora può sperare di ottenere quei 19 miliardi che erano in ritardo, è altrettanto vero che l'esecutivo deve accelerare il ripensamento del Piano perché quanto accaduto con i due stadi è la testimonianza che «a Bruxelles la musica è cambiata». Quei due progetti erano stati approvati dall'ex ministro Franco e perlomeno accettati dalla Commissione. Ora che c'è Meloni, improvvisamente, non sono più conformi.
Ecco perché, come ha dichiarato ieri Meloni a Milano Finanza, il governo «nonostante errori e ritardi ereditati» è «al lavoro per rimodulare il Piano e risolvere le criticità, puntando su quei progetti per i quali i finanziamenti possono essere spesi entro la scadenza» del 2026. Quella che a Palazzo Chigi definiscono «operazione verità» consiste, secondo quanto si apprende, nell'affermare chiaramente che «così come è stato scritto il Pnrr dai governi precedenti realisticamente è difficile da mettere a terra». Entro il 31 agosto sarà a presentata a Bruxelles una nuova versione nella quale saranno eliminati i progetti irrealizzabili.
Una circostanza sostanzialmente confermata dal ministro Crosetto in un'intervista alla Stampa, successivamente smentita. «Consiglierei di prendere solo i fondi che si è sicuri di spendere» la frase incriminata. In realtà Crosetto ha sottolineato che se un'opera che riceve un determinato finanziamento non viene terminata entro il 2026, l'Italia è tenuta a rimborsare il finanziamento e a terminarla a proprie spese. «Il governo getta la spugna: se non sono capaci, lo devono dire adesso», ha chiosato il leader 5s ed ex premier Giuseppe Conte al quale si comincia a imputare l'errore di aver richiesto a NextGeneration Eu il massimo dei fondi, pur sapendo che l'Italia non sarebbe mai stata in grado di spenderli. Il Pnrr, in effetti, è disseminato in migliaia di rivoli (i Comuni hanno già presentato circa 70mila progetti per 40 miliardi) con tutte le lungaggini conseguenti.
Il presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, Riccardo Di Stefano, è stato laconico: «Le risorse vanno spese con l'obiettivo di generare crescita, non dare mancette» perché «questi fondi sono debito sulle spalle dei giovani».
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