«Caro direttore, ma la guerra dei trent'anni non doveva finire con Silvio Berlusconi? Dopo di lui, il tema giustizia non doveva tornare nei binari della normalità?».
La domanda che Marina Berlusconi fa risuonare nel dibattito pubblico con la lettera a il Giornale, non è soltanto, per dirla con le sue parole, «una testimonianza, e una denuncia» contro «la persecuzione di cui mio padre è stato vittima, e che non ha il pudore di fermarsi nemmeno davanti alla sua scomparsa», ma un invito a perseguire davvero la riforma della giustizia perché «un Paese in cui la giustizia non funziona è un Paese che non può funzionare».
Di fronte alle parole della primogenita di Silvio Berlusconi, Forza Italia si stringe attorno a lei e rilancia la richiesta di cambiare davvero la giustizia italiana. «Marina Berlusconi fa bene a difendere la memoria di suo padre» dice Antonio Tajani «perché mi pare che da parte di alcuni ci sia una sorta di accanimento anche dopo la sua morte. Ricordo le parole di Grasso che elogiò Berlusconi per il suo atteggiamento di fermezza nei confronti di mafia, camorra, 'ndrangheta, sacra corona unita. Adesso costruire teoremi secondo i quali Forza Italia sarebbe nata perché la mafia... lasciamo perdere, sono barzellette alle quali nessuna persona di buon senso può credere». La presidente dei senatori azzurri Licia Ronzulli giudica la lettera «un monito a fare in modo che la giustizia non sia più, mai più, un'arma da usare contro l'avversario politico. Che ci sia una giustizia con la G maiuscola, al servizio dei cittadini. E per farlo, serve solo una grande, profonda riforma, che possa cambiare tutto questo e invertire la rotta. Solo così potremo uscire da questo girone dantesco che paralizza l'Italia, solo così onoreremmo la memoria del presidente Berlusconi, che per ottenere questa riforma ha dedicato 30 anni della sua vita. Fino all'ultimo giorno».
Paolo Barelli, capogruppo alla Camera, riannoda il nastro della storia, sottolineando che «Forza Italia è sempre stata dalla parte giusta, il rispetto della legalità e la lotta - a più livelli - al crimine organizzato sono nel suo Dna». Giorgio Mulè, nella maniera decisa che lo contraddistingue, fotografa così l'origine di Forza Italia: «Di sicuro noi non siamo eredi di un partito nato da uno scambio con la feccia dell'umanità. Noi siamo gli eredi di un partito fondato da Silvio Berlusconi che ha avversato e combattuto quella feccia dell'umanità su tutti i fronti». Solidarietà anche dalla senatrice Michaela Biancofiore, presidente del gruppo parlamentare Civici d'Italia: «Mi sono molto commossa per la lettera accorata di Marina Berlusconi in difesa della memoria e della vita di suo padre, che combacia drammaticamente con un'analisi chirurgica dello stato della giustizia in Italia. Marina ha ragione soprattutto quando denuncia la volontà della damnatio memoriae nei confronti di suo padre». Maurizio Gasparri, invece, parla come «testimone diretto» dell'impegno antimafia di Berlusconi. «Ho avuto l'onore di essere Ministro accanto a lui quando abbiamo reso permanente il carcere duro, il 41 bis, nell'ordinamento penitenziario italiano».
«Siamo di fronte ad un sistema della giustizia malato dove c'è parte della magistratura e certa stampa che, con una delle accuse più infamanti ovvero quella di mafiosità, persevera in un accanimento addirittura post mortem'! Inaccettabile», chiosa il deputato azzurro Roberto Pella. E la senatrice di Iv, Raffaella Paita: «Ha ragione Marina, quando dice che la guerra dei 30 anni non è ancora finita. Ha ancora ragione quando parla di damnatio memoriae da parte della procura di Firenze».
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