Genova Le telecamere di una ditta di corso Perrone erano puntate sul ponte Morandi al momento del crollo: sono le immagini di quel dispositivo, ora al vaglio della magistratura, che potrebbero fare luce sul collasso del viadotto, un elemento di certezza nel lavoro di ricostruzione complessiva dopo le tante teorie sul disastro circolate negli ultimi giorni. È questo l'ultimo tassello in ordine di tempo, che si va ad aggiungere alle decine di testimonianze oculari raccolte e agli approfondimenti dei periti, attraverso il quale passa l'accertamento delle cause del crollo dello scorso 14 agosto a Genova. Immagini preziose per il lavoro della procura, acquisite per cristallizzare il momento e le fasi del crollo del Morandi, superando così il problema del blackout che ha reso quasi inservibili i video delle telecamere autostradali sul viadotto, caratterizzati anche dalla visibilità resa scarsa dalla forte pioggia.
L'IMPORTANZA DELL'INEDITO
L'ultimo elemento a rivelarsi utile è appunto il video acquisito dalla procura e tenuto riservato, proveniente da una telecamera fissa di un'azienda con la sede vicino al ponte Morandi, che ritrae con chiarezza il momento del disastro. «È estremamente utile - ha sottolineato il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi - che questi elementi non siano stati conosciuti o conoscibili perché così non esiste la possibilità che possano influenzare la descrizione del fatto vista da un teste oculare consentendo di tagliare immediatamente le ricostruzioni fantasiose o impossibili».
I TESTIMONI
A descrivere le modalità del crollo del Morandi sono stati anche decine di testimoni sentiti dagli inquirenti nell'ambito delle indagini, circa 35 in tutto di cui 5 o 6 ritenute molto puntuali. Tra queste quella di un'infermiera genovese, che ha raccontato di aver visto i tiranti spezzarsi contemporaneamente e cadere sulla carreggiata che ha effettuato un'oscillazione in alto subito prima che la campata si spezzasse.
LA TESI DELL'ATTENTATO
Nei giorni scorsi un ingegnere ha sostenuto che non si può escludere la «compatibilità» tra il crollo e gli effetti di un attentato con l'uso di microcariche. Una tesi esclusa dalla procura che ha precisato: «Sulla base degli elementi noti e conosciuti non ci sono evidenze di esplosioni».
LE BOMBOLE DI ACETILENE
Sulla possibilità che il cedimento sia stato invece innescato da un'esplosione collegata ad attività di manutenzione, sono state compiute verifiche che fino ad ora non hanno dato evidenza della presenza di bombole di acetilene.
IL FULMINE
L'ipotesi che un fulmine possa aver colpito uno dei piloni del viadotto subito prima del crollo è stata invece esclusa. Dalla mappatura effettuata sulle saette del 14 agosto i tecnici dell'Arpal hanno rilevato che la più vicina si è abbattuta ad oltre un chilometro dal Morandi.
BOLLA D'ARIA NELLO STRALLO
Un'altra ipotesi emersa e non confermata si riferiva all'usura dei materiali e alla possibile presenza di una «bolla d'aria» in uno dei tiranti in calcestruzzo che avrebbe corroso i cavi di acciaio in uno degli stralli.
LE CARTE
Se da un lato gli accertamenti si concentrano sulla ricostruzione della dinamica del crollo, il «secondo binario» delle indagini in corso prosegue di pari passo sulla ricostruzione delle posizioni di tutti gli uffici, organi e soggetti che si trovano in posizione di garanzia rispetto all'accaduto e che potrebbero aver avuto la responsabilità di evitare il disastro.
Al lavoro sulle migliaia di pagine di documentazioni acquisite dalla procura ci sono i pm incaricati insieme ai consulenti. Al momento il fascicolo è ancora contro ignoti, ma nei prossimi giorni non si esclude l'arrivo dei primi indagati.
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