La percezione moderna che il Regno Unito ha di sé deve molto al mito fondativo della seconda guerra mondiale. Il messaggio della regina Elisabetta di domenica sera attinge a piene mani da quella narrazione, a cominciare proprio dalla presenza fisica della sovrana che ha vissuto quella guerra in prima persona. Il momento che sta vivendo il Paese non è paragonabile agli eventi di 80 anni fa, tuttavia rappresenta la sfida massima per milioni di persone cresciute nella pace.
Oltre alla complessità della chiusura economica e sociale che molti altri Paesi stanno affrontando, il Regno Unito deve fare i conti con un esecutivo colpito al cuore dal coronavirus. Con Boris Johnson ricoverato in terapia intensiva la guida del governo è affidata al ministro degli esteri Dominic Raab. Tuttavia il suo ruolo e i suoi poteri, mancando il Paese di una costituzione scritta e senza precedenti storici cui fare riferimento, non sono chiaramente definiti. Downing Street ha ieri cercato di chiarire il perimetro in cui Raab potrà muoversi: avrà il potere di autorizzare azioni militari ma non quello di modificare la risposta del Paese in caso di attacco nucleare, definita da Johnson all'inizio del mandato. Non riferirà alla regina ma presiederà l'azione di governo come primus inter pares, senza il potere di licenziare gli altri ministri. Il suo ruolo di designated survivor gli deriva dall'essere stato nominato primo segretario di stato nel 2019, all'inizio del primo governo Johnson, quando il principale problema politico inglese e non solo - era la Brexit. Raab era un brexiteer convinto, dimessosi addirittura da ministro per la Brexit a fine 2018 per le troppe concessioni che secondo lui il governo May stava facendo a Bruxelles. La sua nomina a vice-Johnson rappresentava all'epoca un messaggio di continuità: qualunque cosa dovesse succedere si va avanti con il divorzio dall'Ue. Nel giro di un paio di mesi tutto è cambiato, nell'era della pandemia globale Raab deve ora guidare il governo nella fase più acuta della crisi. Da una parte l'azione del ministro della salute Hancock, guarito dal virus e tornato la scorsa settimana in tempo per ridare slancio al contrasto alla pandemia che durante la sua assenza è sembrata debole e confusa. Dall'altra il ministro del Tesoro Rishi Sunak che sta spingendo per trovare una via d'uscita al blocco economico del Paese. Due politiche potenzialmente divergenti, due dei principali astri nascenti del campo conservatore, un esecutivo da dover tenere assieme per poter fornire una risposta efficace alla crisi. Cui potrà ora concorrere anche un rinnovato partito laburista che, sabato scorso, ha messo fine alla lunga parentesi di rinnovamento interno dopo la débâcle elettorale di dicembre. Il nuovo leader, Keir Starmer, rappresenta una svolta moderata e per questo radicale rispetto agli anni di Corbyn. Il vecchio leader, prima di lasciare, nella sua cecità ideologica ha ammonito che il Labour non deve prendere parte a un governo di unità nazionale, opponendosi così a un'ipotesi divenuta negli ultimi giorni più concreta. Starmer, nella sua prima intervista alla Bbc, ha invece detto che il Labour deve essere «collaborativo e supportare il governo» in un momento di crisi.
Alcuni ipotizzano potrebbe anche partecipare al comitato per la gestione delle emergenze, Cobra. Un'opposizione finalmente funzionante ed efficace, in grado di fare le pulci all'operato governativo ma allo stesso tempo di facilitarlo, sarà fondamentale per l'uscita del Paese dalla crisi.
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