Quando all'alba del Duemila l'Unione europea si allargò verso Est inglobando una serie di Paesi che fino a pochi anni prima avevano fatto parte del blocco sovietico, come Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, gli analisti più prudenti sostennero che le nazioni in questione non fossero ancora pronte per rispettare gli standard europei in fatto di trasparenza degli apparati burocratici, rispetto dei diritti umani, indipendenza di media e tribunali. A distanza di vent'anni, molti di questi problemi rimangono pressoché irrisolti. Basti pensare alla Polonia, che è in conflitto da diverso tempo con Bruxelles per le sue riforme giudiziarie, accusata di minare l'indipendenza dei giudici. Riforme che hanno anche fruttato a Varsavia diverse condanne da parte della Corte di giustizia europea. La Polonia da qualche tempo viene spalleggiata dal primo ministro ungherese Viktor Orbán, che ha firmato nei giorni scorsi una risoluzione del governo che accoglie favorevolmente la sentenza della Corte costituzionale polacca secondo cui le leggi dell'Ue non prevalgono sulla Costituzione del Paese.
A preoccupare Bruxelles è anche l'evoluzione politica nella Repubblica Ceca dopo i risultati delle elezioni di sabato che vedono una nazione spaccata in due. Il primo ministro Andrej Babis ha ammesso la sconfitta. Il suo partito Ano (acronimo di Akce Nespokojenych Obcanu, letteralmente Azione dei Cittadini Insoddisfatti) si è attestato al 27,13%, superato dal 27,78% dalla coalizione di centrodestra Spolu (Insieme). Sono rimasti al palo sia i socialdemocratici che i comunisti, che non hanno superato lo sbarramento del 5% e si ritrovano fuori dal Parlamento per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. La soglia invece è stata superata soltanto da altre due formazioni con cui Babis, o il leader del centrodestra Petr Fiala, dovranno trattare per costruire un possibile governo. Sono il Partito Pirata (15,6%) e la destra euroscettica di Spd (9,56%).
Babis non sembra voler rinunciare alla prospettiva di un nuovo mandato, e ha aperto trattative con Spolu per la formazione di un nuovo esecutivo. Dal canto suo, Fiala ha fatto sapere che non intende governare con Babis e ha avviato contatti con il Partito Pirata per ottenere numeri di una maggioranza stabile.
In molti attendevano un intervento di mediazione da parte del presidente della Repubblica Milos Zeman che purtroppo si trova da ieri ricoverato in terapia intensiva all'Ospedale militare centrale di Praga. La sua assenza potrebbe generare un pericoloso vuoto di potere. Zeman, 77 anni, soffre di diabete ed è confinato su una sedia a rotelle per un disordine del sistema nervoso da parecchio tempo. Spetta al presidente ceco il compito di nominare il premier incaricato di formare il governo, e Zeman, prima di aggravarsi, aveva lasciato intendere di voler affidare un mandato esplorativo al premier uscente. Secondo la carta costituzionale ceca, le consultazioni passano al presidente della Camera dei deputati, ma in questo caso si apre una situazione politica complessa, dato che l'alleanza moderata Spolu è in testa per una manciata di voti.
In questa situazione ingarbugliata il Partito Pirata potrebbe diventare l'ago della bilancia. Dalla Svezia alla Germania, i Partiti Pirata si sono formati in vari paesi europei, coalizzandosi ufficialmente nel Partito Pirata Europeo. Il loro obiettivo è rendere l'informazione libera e accessibile a tutti. Una via di mezzo tra Wikileaks e Movimento 5 stelle della prima ora.
Come accadde con i grillini, anche i pirati cechi hanno fatto dell'onestà un grido di battaglia, cavalcando l'onda di disillusione nei confronti dei partiti tradizionali nel Paese. Nonostante l'ottimo risultato elettorale, sono dilaniati da lotte interne. Proprio in queste ore la loro «piattaforma Rousseau» sta votando per defenestrare lo storico leader Ivan Bartos.
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