Paralisi: la strategia di Giuseppe Conte, sugli infiniti dossier scottanti con cui si trova alle prese il suo governo, sembra una sola. Fingersi morto.
Scuola, autostrade, Ilva, Mes: i problemi irrisolti continuano ad affastellarsi sul tavolo del governo, a costi altissimi in perdite economiche e di posti di lavoro, in un clima di incertezza pesantissima, ma per il premier, come per Rossella O'Hara, il motto è sempre: «Domani è un altro giorno». Ovunque si intravveda una questione spinosa, un conflitto nella maggioranza, una rissa tra Pd e Movimento Cinque Stelle o anche una baruffa interna alle file grilline, ormai allo sbando politico, Conte taglia la testa al toro e rinvia tutto, onde evitare qualsiasi ripercussione pericolosa a sé medesimo e alla sua carica. Col risultato che i problemi si incancreniscono, le tensioni lievitano, le soluzioni diventano sempre più difficili, i buchi diventano voragini.
Ieri, sul caso Autostrade su cui i grillini hanno lanciato una nuova dissennata crociata anti-Benetton, era tutto un coro unanime di spazientiti appelli da parte di presidenti di regione e dirigenti di partito, operatori economici e aziende interessate: Conte decida quel che vuole ma decida, non si può rischiare il collasso del sistema autostradale italiano solo perché il premier ha paura della sua ombra e non sa che pesci prendere. Persino Massimo D'Alema, grande sponsor e assiduo consigliore di Conte, ha perso la pazienza: «Queste sono questioni su cui non si può restare appesi, perché si crea un danno a tutti. Il governo decida». Conte però, da settimane, fa finta di niente. La trattativa con i concessionari andava avanti sottotraccia, con la possibilità per lo Stato di ottenere condizioni a suo vantaggio. La scomposta irruzione dei Cinque Stelle, con l'ukase lanciato da Cancelleri che chiede la revoca della concessione ha mandato tutto all'aria. La mossa grillina, dicono in casa dem, ha un obiettivo tutto elettoralistico: siccome si vota in Liguria, e i Cinque stelle sono elettoralmente alla canna del gas, il tentativo è quello di lucrare un po' di voti agitando in modo demagogico i morti del Ponte Morandi contro i Benetton. Una campagna elettorale che rischia però di avere un costo altissimo per i contribuenti italiani. E Conte che fa? Nulla: si nega da settimane al telefono agli attori della partita, non porta il dossier in Consiglio dei ministri per paura che scoppi la rissa, mette il problema sotto il tappeto: «Non sta parlando con nessuno, non sta facendo alcuna mediazione: aspetta che le cose si risolvano da sole, con la strategia dello struzzo», dice un esponente di governo.
Intanto l'Italia è l'unico paese in Europa in cui non si sa quando, come e perché riapriranno le scuole, mentre dem e grillini si scontrano su come arruolare decine di migliaia di insegnanti (e potenziali elettori): concorso a quizzone ora (come vorrebbe l'ineffabile ministra Azzolina, quella nota soprattutto per il rossetto scarlatto), concorso in autunno, concorso mai. Oggi scade in Senato il termine per gli emendamenti sul decreto scuola, domani si dovrebbe votare la fiducia, ma tutto è ancora indefinito. Le parti in lotta della maggioranza hanno chiesto l'intervento del premier per dirimere la questione. Da giorni viene invocato un decisivo vertice di governo a Palazzo Chigi, ma solo ieri sera alle 21 si è saputo che - forse - alle 23 si sarebbe tenuta la fatidica riunione. «È tutto nelle mani di Conte - spiegavano ieri dal ministero azzoliniano - il premier dovrà trovare una soluzione entro lunedì a ora di pranzo». Quale? Boh: forse la notte porterà a Conte un'illuminazione, o più probabilmente un pateracchio per tener buoni tutti.
Anche sul Mes, il
governo è paralizzato: Conte sa che quei soldi sono indispensabili all'Italia e che consentirebbero un risparmio di 7 miliardi alle casse pubbliche. Ma i grillini strillano «Mai Mes», e lui resta paralizzato dal terrore.
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