A Bruxelles si respira forte il timore che possa aprirsi un terzo fronte di guerra nei Balcani. Così, ancor prima che si apra formalmente il Consiglio europeo, Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Giorgia Meloni e Charles Michel si danno appuntamento all'hotel Sofitel per incontrare il primo ministro della Repubblica del Kosovo, Albin Kurti, e il presidente della Repubblica di Serbia, Aleksandar Vucic. Due riunioni distinte che hanno l'obiettivo di favorire una «normalizzazione» delle relazioni tra i due Paesi, in piena crisi dopo la sparatoria tra i paramilitari nazionalisti serbi e le forze di sicurezza kosovare dello scorso 24 settembre. L'intento dei leader di Francia, Germania, Italia - che affronteranno la questione in un successivo trilaterale - è proprio quello di scongiurare l'ennesimo fronte di guerra alle porte dell'Europa, che unito al conflitto in corso tra Russia e Ucraina e alla crisi esplosa in Medio Oriente dopo l'attacco terroristico di Hamas rischia di diventare l'ennesima miccia accesa. E proprio il conflitto israelo-palestinese è uno dei temi sul tavolo del Consiglio Ue. Con Meloni che entrando a palazzo Europa auspica che l'Unione europea possa ritagliarsi un ruolo nel «dare maggior peso all'Autorità nazionale palestinese», così da «svelare il bluff di Hamas» che «non c'entra nulla» con i civili della Striscia di Gaza. È proprio sul documento conclusivo relativo alla crisi in Medio Oriente, però, che i 27 faticano non poco a trovare l'intesa. Troppo diverse le sensibilità degli Stati membri sull'approccio da avere con Israele sul sostegno al progetto mai realizzato dei «due popoli-due stati». Nel tardo pomeriggio, in verità, sembrava si fosse trovato un minimo comune denominatore nel riferimento a «una pausa umanitaria» oppure a «pause», per assicurarle nel tempo, così da permettere l'ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia. Termini alternativi a un «cessate il fuoco» che dovendo essere dichiarato dalle parti belligeranti presuppone un riconoscimento reciproco che al momento non c'è. Ed è proprio su questo punto che a tarda sera si registra una situazione di stallo, con alcuni Paesi dell'Ue - pochi in verità - che insistono per la formulazione del «cessate il fuoco». Solo alle passate le 21.30 i 27 trovano un'intesa sulla dizione «pause umanitarie» per consentire l'arrivo di aiuti a Gaza attraverso corridoi ad hoc.
Ma a Bruxelles sono in agenda anche due dossier particolarmente sensibili alla politica di casa nostra: ieri la questione migranti e oggi la ratifica del Mes (di cui si parlerà durante l'Eurosummit). Due capitoli ancor più delicati visto il momento di tensione all'interno della maggioranza, con Meloni che proprio mentre sbarcava in Belgio per la due giorni del Consiglio Ue ha visto accendersi a Roma un nuovo fuoco incrociato sulla manovra. Quella su cui aveva invitato tutti i partiti di maggioranza a non presentare emendamenti e che ieri è finita nel mirino soprattutto della Lega (su pensioni e fisco) ma pure di Forza Italia (con i dubbi espressi da Antonio Tajani sulla cedolare secca). Un uno-due che la premier non ha gradito se nel suo entourage c'è chi parla di «sgambetto» mentre era all'estero.
Pesa, ovviamente l'impegno internazionale, perché proprio nei giorni in cui si discute del nuovo Patto di Stabilità e nelle ore in cui Bruxelles torna alla carica sul Mes, da Roma si rimanda l'immagine di una maggioranza che litiga su una manovra che era stata data per chiusa già da una settimana.
Ma Meloni non sembra gradire anche la tempistica di un affondo che sembra un «agguato» perché arriva in un momento in cui la premier è evidentemente in difficoltà anche dal punto di vista personale. Di questo, però, non avrebbe parlato nel breve contatto avuto ieri con Matteo Salvini.
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