E adesso rovesciamo l'Italia, dice. I capelli raccolti, la giacca scura con i ricami argentati e gli orecchini coordinati, Tajani e Salvini seduti accanto che sorridono e che mandano plasticamente, almeno oggi, un segnale di unità della maggioranza: infatti la Meloni appare piuttosto contenta, quasi euforica. Il Consiglio dei ministri ha appena approvato all'unanimità «la madre di tutte le riforme», l'elezione diretta del capo del governo, e così la storia nazionale, 75 anni di fragilità istituzionale, come dicono a Palazzo Chigi, può cambiare verso. «Basta giochi di palazzo, stop ai ribaltoni e agli esecutivi tecnici, ora decidono i cittadini. Chi verrà scelto dal popolo potrà guidare il Paese con stabilità». E poi il Piano Mattei, le norme sul concordato biennale, il lancio del «fisco collaborativo». Molta la carne al fuoco, molto pure il lavoro per cuocerla. Intanto per Giorgia «è davvero una bella giornata, entriamo nella Terza Repubblica».
Certo non sarà una passeggiata, perché riscrivere un pezzo di Costituzione, quattro articoli in questo caso, prevede un iter lungo e complesso, dalle incerte soluzioni, con tanti voti e forse tanti compromessi. Quello che conta è dare il via libera «a una riforma cruciale che introduce l'elezione diretta del presidente del Consiglio e garantisce due obbiettivi che ci eravamo impegnati a realizzare, il diritto dei cittadini a scegliere e avere governi stabili». E pure un confronto con il Colle. «C'è stata un'interlocuzione con il presidente della Repubblica e con i suoi uffici, avviene sempre per provvedimenti di questo tipo». Costituzionalisti e opposizione sono in allarme: il premierato forte tocca alcuni dei poteri principali del Quirinale, la scelta del capo del governo e la decisione sulla durata della legislatura. Ma Sergio Mattarella sull'argomento non ha alcuna intenzione di intervenire, perché non vuole ingerire «sulle competenze del Parlamento» e perché non si può prevedere come sarà il testo finale tra un paio d'anni. Sul punto prudentissima pure Meloni. «Il ruolo del capo dello Stato è di assoluta garanzia e noi abbiamo deciso di non toccarne le prerogative, salvo l'incarico al premier eletto. La legge raccoglie i suggerimenti di maggioranza e opposizione e della società civile. Spero possa incontrare il più ampio consenso, che non vogliamo imporre».
Di sicuro Giorgia non vuole fare lo stesso errore di Matteo Renzi, non butterà la sua testa sul piatto, non si dimetterà se un eventuale referendum venisse bocciato. «Noi abbiamo fatto quello che dovevamo fare, mantenendo l'impegno preso. È un occasione storica: faccio la riforma e la consegno agli italiani, però il popolo è sovrano. Tutto ciò nulla ha a che fare con l'andamento dell'esecutivo, del programma che stiamo realizzando».
Però, insiste, sarebbe davvero il momento di cambiare. «In 75 anni abbiamo avuto 68 governi, con una vita media di un anno e mezzo. Negli ultimi venti ci sono stati 12 presidenti del Consiglio. C'è una debolezza, quello che non funziona è l'orizzonte di legislatura troppo breve». E in una campagna elettorale costante, «si privilegia la spesa corrente rispetto agli investimenti». Inoltre l'assenza di stabilità «ha creato un problema di credibilità internazionale». Con il premierato invece «il capo del governo potrà essere sostituito solo una volta e soltanto da un parlamentare: e la fine dei ribaltoni e dei gabinetti tecnici». Alt anche ai senatori a vita, esclusi gli ex capi dello Stato. «Dopo il taglio dei parlamentari la loro incidenza è assai aumentata». Adesso servirà una legge elettorale adeguata che «avrà la responsabilità di garantire una maggioranza». Si parla di un premio del 55 per cento.
E poi l'altro cavallo di battaglia del centrodestra, le tasse.
«Un importante decreto legislativo disciplina gli accertamenti, favorendo la partecipazione del contribuente per un fisco più collaborativo con i cittadini, senza abbassare la guardia sulla lotta all'evasione». Quanto infine al concordato, «è un accordo che si fa a monte con lo Stato: un segno di fiducia nei confronti degli italiani».
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