Sembrava un passaggio scontato e invece no. La fine della giustizia spettacolo e il rafforzamento della presunzione di innocenza spaccano la maggioranza: il blocco garantista, centrodestra più Italia viva, viene bloccato dai 5 Stelle che si portano dietro il Pd. Risultato: la Commissione giustizia della Camera non vota e si aggiorna alla prossima settimana.
Domenica si va ai ballottaggi nelle grandi città e a sinistra evidentemente hanno fatto i loro calcoli: prima le ragioni dell'alleanza con il partito di Conte e Bonafede, poi i diritti dei cittadini indagati. Il parere richiesto dal governo su uno schema di decreto legislativo può attendere. Peccato, perché dietro quel provvedimento c'è una direttiva europea proprio sulla presunzione di innocenza. Non importa, gli equilibri giallorossi vengono prima. Almeno per oggi.
In realtà il testo che mette in imbarazzo i partner della maggioranza afferma principi che sulla carta tutti, o quasi, condividono ma che quotidianamente vengono calpestati nell'esercizio della giustizia. Insomma, la nuova norma dovrebbe bloccare la giustizia spettacolo, le conferenze stampa che assomigliano a sentenze con imponente e incombente schieramento di polizia giudiziaria a corredo.
Lo sappiamo, l'articolo 27 della Costituzione afferma con parole solenni gli stessi valori, ma in pratica le inchieste entrano come colonne sonore nella vita del Paese e fanno a pezzi un altro articolo della nostra Carta, il 111, rafforzato nel 1999, laddove specifica che gli indagati devono essere avvisati «riservatamente della natura e dei motivi» delle accuse a loro carico.
Figurarsi. Nella realtà va tutto in un altro modo: i nomi finiscono a caratteri cubitali sui giornali e ci rimangono per anni, complice l'esasperante lentezza dei procedimenti.
Altro che discrezione e riserbo. Siamo a quello che il professor Sabino Cassese chiama il naming and shaming, ovvero la gogna. Il tradimento di quello che dovrebbe essere.
Alla vigilia del secondo turno delle amministrative alla Commissione giustizia di Montecitorio si fanno ragionamenti di altro genere. E l'accordo salta.
«Oggi doveva essere votato il parere parlamentare allo schema di decreto legislativo - spiega Enrico Costa di Azione - Come relatore ho presentato una proposta finalizzata ad evitare la spettacolarizzazione delle inchieste, la diffusione di atti, il palcoscenico mediatico per i pm. Perché queste comunicazioni restano impresse sull'indagato come una cicatrice che non si cancella neanche in caso di assoluzione».
Si delineano gli schieramenti: sono per il sì il centrodestra e i renziani, più gli esponenti del gruppo Misto; i 5 Stelle invece sostengono il no. E il Pd?
«Il Pd - riprende Costa - aveva una grande occasione ed era davanti a un bivio fra una scelta liberale e la chiusura pentastellata. Purtroppo il Pd ha deciso di stare con Bonafede, il merito non conta più, conta solo non scontentare il partito di Grillo». «Garantire il principio di innocenza - replica il democratico Michele Bordo - non significa imbavagliare l'informazione».
Il voto slitta a settimana prossima, salvo ulteriori sorprese. Insomma, l'Europa chiama ma l'Italia se la prende con calma olimpica.
Almeno per ora, si andrà avanti come prima. Con il naming and shaming condannato da Cassese e con tutte le fragorose liturgie che la Ue vorrebbe farci mandare in archivio.
Nelle nuove disposizioni c'è anche una sottolineatura del diritto dell'imputato al silenzio che oggi viene talvolta inteso come anticamera della colpevolezza.Per ora, però, a stare zitti sono i deputati. Vince un silenzio forcaiolo. Si spera sia solo una parentesi.
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