Il primo atto di De Luca: mandare la Bindi in galera

Il neopresidente della Campania denuncia per attentato ai diritti costituzionali e diffamazione la collega del Pd che lo ha messo nella lista antimafia degli impresentabili

Il primo atto di De Luca: mandare la Bindi in galera

Come si permette? Impresentabile sarà lei. O lo sarà presto, una patente d'impresentabilità non si nega a nessuno. Specie in un partito, come il Pd, nel quale i candidati presentati da Renzi ( mi manda Picone ) hanno fatto figuracce, mentre quelli presentati obtorto collo hanno stravinto.

Enzo Potentino De Luca è il primo di questi, ma è chiaro che al Nazareno non lo conoscono ancora bene. Lo sottovalutano, lo scherniscono per il folklore, la Bindi ha provato a farne un capro espiatorio per colpire Renzi. Ma Rosy ormai fa tutto di testa sua, e non è un vantaggio. Giusto ieri l'altro s'era data arie da damina offesa, dopo il gran casino che ha combinato. «Pretendo scuse dal mio partito: non si può arrivare a diffamare così una persona... Ritengo di aver diritto a un risarcimento». Eccolo qui, il risarcimento. Arriva da Salerno, alle ore 13.20, un frecciarossa straordinario: «Oggi ho presentato in questura denunzia-querela nei confronti dell'on. Bindi Rosaria. Si chiede alla Procura di Roma di procedere penalmente per i reati di diffamazione, attentato ai diritti politici costituzionali e abuso d'ufficio», firmato Vincenzo De Luca (idealmente, da milioni d'italiani).

La Rosibindi non credeva ai propri occhi, e balbettava sicumera tramite nota della gentile portavoce: «È una denuncia priva di ogni fondamento, un atto puramente strumentale, che ha scopi diversi da quelli che persegue la giustizia e che pertanto non mi crea alcuna preoccupazione». Sta di fatto che, tra breve, anche la presidente dell'Antimafia potrà aver diritto a diventare poco o punto presentabile. Anche perché, aperta la diga, a seguire De Luca sono arrivate altre querele: da parte di Lady Mastella (Sandra Lonardo, con il dente avvelenato anche per la mancata elezione) e dell'eletto Luciano Passariello, FdI. Assai circostanziata quella del governatore della Campania, i cui legali sottolineano come l'Antimafia, rendendo pubblici in conferenza stampa i nomi della lista di impresentabili, sia andata «al di là di quella missione consultiva cui si sarebbe dovuta attenere». Cioè sia passata da un atto astrattamente lesivo (l'esistenza di una lista) a una concreta lesione dei suoi diritti (l'averla resa pubblica). La diffamazione consiste oggettivamente nell'«accostamento che ne è derivato tra il nome di De Luca e reati di tipo mafioso». L'Antimafia, scrivono i legali, ha compiti di solo monitoraggio e attività ispettiva, mentre ha finito per «influire sulla formazione della volontà popolare» in quanto «le informazioni diffuse sul conto di De Luca ne hanno indebolito la credibilità davanti al suo elettorato procurandogli un danno in termini di voti». Questa lesione del diritto costituzionale di elettorato passivo, con l'aggravante della carica istituzionale che ha reso ancora più autorevole l'informazione, configurerebbero un reato di attentato ai diritti politici.

In attesa che la tegola sulla Bindi possa convenientemente riverberarsi sul quartier generale Pd e su Renzi - che non ha ancora preso in mano la pratica della sospensione di De Luca, né tantomeno la possibilità di una modifica della Severino in Parlamento (De Luca ci conta, il Pd per ora nega) -, sulla diffamazione politica è ieri intervenuto anche il padrino dei voti deluchiani nell'Avellinese, Ciriaco De Mita. Dall'alto della sua autorevolezza, ha negato che le diffamazioni abbiano avuto un peso; si riferiva a Caldoro, ma il discorso vale a maggior ragione per De Luca, agevolato dall'improvvida Bindi. De Mita ha poi fornito qualche traccia sulla personalità del governatore campano, suo ex acerrimo nemico. «Ha intelligenza, ma a volte temo che il suo ego sia più forte». Manco a farlo apposta, De Luca aveva già anticipato quel che pensa del suo mentore elettorale in una chiacchierata con Marco Demarco del Corsera . Ne ha parlato sbuffando, a fine pranzo, poco prima del caffè: «L'Udc ha partecipato alla formazione di una coalizione vincente, dando contributo di voti... Non c'è stato e non ci sarà nessun mercato politico». Dopo, senza dubbio, si è passati all'ammazzacaffè.

di Roberto Scafuri

Roma

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