Questione di «passaporto». Di formalità e procedure. E se non fosse che si tratta di petrolio russo sotto embargo dal prossimo 5 dicembre - per scelta dell'Ue - forse non se ne sarebbe neppure parlato. Invece, secondo una video-inchiesta del Wall Street Journal, il greggio lavorato in Sicilia proveniente da Mosca sarebbe arrivato in America quando erano già scattate le proibizioni dell'amministrazione Biden; pronto a rifornire la East Coast, aggirando le sanzioni contro la Federazione. Si parla di circa 5 milioni di barili giunti da marzo: «Sostanzialmente trasformato in prodotto fatto all'estero». Cambia solo la provenienza, è l'accusa del quotidiano statunitense. La benzina diventa cioè Made in Italy. E attraverso una triangolazione, gli Usa la possono comprare nonostante il divieto di import diretto.
Il giallo vede l'Italia tuttora transitare il petrolio «di Putin» nella seconda più grande raffineria del Belpaese, quinta in Europa per lavorazione. È l'Isab di Priolo Gargallo (Siracusa), incastrata strategicamente a metà strada tra il capoluogo siciliano e il Porto di Augusta. Da sola, copre il 20% del fabbisogno annuale dello Stivale e a breve - quando scatterà il divieto di import Ue - rischia di trovarsi in un limbo scomodissimo. A secco, e con i lavoratori del sito (circa un migliaio) e dell'indotto (quasi duemila) gambe all'aria.
Prima della guerra, l'Isab comprava greggio da 15 Paesi (dall'Africa al Medio Oriente), con una quota di prodotto «importato» da Mosca del 30%. Da quando però le banche Ue hanno smesso di prestare soldi alla raffineria, si è trovata a poter acquistare petrolio quasi solo dai russi, a credito, con greggio arrivato inevitabilmente dai porti della Federazione (Primorsk, Novorossiysk, Ust-Luga e Varandey) con navi russe. La tesi del WSJ è semplice, dimostrata dal tracciamento delle petroliere, come la Scf Baltica di proprietà della Sovcomflot, gruppo numero uno della navigazione della Federazione sottoposta a sanzioni negli Usa. La nave a fine marzo salpa dalla Russia e un mesetto dopo arriva nel porto siciliano. Scarica. Il greggio viene «lavorato» e poi venduto nei suoi derivati anche a stazioni di servizio della compagnia a stelle e strisce Exxon, in Texas e in New Jersey, e della russa Lukoil, che negli States conta oltre 200 «pompe» in 11 Stati e che è fuori dal pacchetto punitivo di Biden, purché il greggio arrivi con il bollino di un altro Paese. Il problema è la provenienza.
Secondo Diego Bivona, presidente di Confindustria Siracusa, la società svizzera che commercializza i prodotti dell'Isab di Priolo (cioè la Litasco, controllata al 100 % dall'affiliata austriaca della Lukoil, a sua volta controllata dalla Lukoil russa), negli States non ha venduto negli ultimi mesi un solo litro di prodotto raffinato proveniente dal polo siracusano. Anche se non ci sarebbe nulla di male ad aver eluso l'embargo per una «falla» nel pacchetto Usa. La medesima inchiesta del WSJ ammette infatti che sono le norme americane contro Mosca a permettere «di raffinare il greggio russo in un Paese al di fuori della Federazione e di inviarlo negli Stati Uniti».
C'è poi la questione della proprietà della raffineria siciliana. Ceduta indirettamente nel 2008 al gigante del petrolio russo Lukoil, è la prima società di capitali per fatturato, nell'isola.
Fino all'invasione dell'Ucraina a nessuno interessava da chi comprasse. Oggi siamo al 93% di petrolio di provenienza moscovita (+143% nel primo semestre 2022), il resto è kazako. E secondo indiscrezioni gli americani ci avrebbero messo gli occhi sopra.
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