È molto difficile misurare sulla maledetta bilancia del coronavirus i due pesi del pericolo di vita e del pericolo per il sistema di vita che abbiamo costruito nei secoli e che si chiama democrazia. Un sistema che ha mostrato sovente limiti importanti, ma che adesso si presenta ai minimi termini, tant'è vero (peccato, ma siamo contenti per i cinesi) che l'unico Paese in cui il morbo dà tregua è la Cina, una dittatura spietata. Adesso diamo evidenti segnali di ammirazione per la sua abilità, come all'inizio e nel mezzo dell'espansione del morbo si è resa evidente la nostra soggezione. Sarebbe ora inutile negare che la segregazione e la violazione di tutti i diritti, fra cui quello della privacy, abbiano contribuito alla ripresa cinese.
Per quello che ci riguarda, per ora Israele e il Sud Corea hanno messo in funzione misure draconiane di controllo degli spostamenti dei malati, e quasi tutti i Paesi occidentali, compresi l'Italia, la Germania, la Francia il Belgio prendono la stessa strada. Le proteste, le perorazioni perché queste misure di controllo siano lievi e definite del tempo sono molto comuni, ieri il garante della privacy Antonello Soro faceva il suo mestiere chiedendo su Huffington Post che il controllo sia «compatibile coi principi democratici» e saggiamente suggeriva che «i diritti possono subire limitazioni anche incisivi» purchè, si capisce, «siano proporzionali». In Israele si va meno per il sottile e l'opposizione a Netanyahu suggerisce che egli abbia come scopo di imporre una dittatura e che la democrazia non sarà mai più restaurata. A ognuno le sue teorie della cospirazione.
La verità è che l'intero sistema globale è stato sfidato da scelte affannose, tardive, a seconda delle politiche del luogo. Una crisi così enorme, che avrebbe dovuto essere il banco di prova del sistema globale su cui in tanti hanno strologato e fantasticato, ha messo in crisi le fondamenta di tutte le nostre teorie: non è forse una crisi verticale della democrazia quella per cui i cittadini non si possono più incontrare, non possono deliberare riunendosi, non è la fine dell'agorà originaria, delle mille invenzioni per cui le categorie, i gruppi, le manifestazioni, possono, oltre alla votazione online in stile Cinque Stelle, ai comunicati, anche scambiare opinioni, confidenze, congiurare, svelare.
La democrazia è questo. E non si pensi che i social media siano un mezzo sostitutivo: non possiedono le qualità di mediazione e di umanità necessarie. La privacy in tutto questo è uno degli elementi di riflessione fra i più facili, ma mentre dobbiamo ridefinire i limiti e i pregi delle nostre democrazie che hanno fallito nel proteggerci la vita, non si sa che farsene.
Nell'ebraismo c'è una ragione riconosciuta per violare lo Shabbat, ed è il Pikuach Nefesh, il pericolo di vita. Anche chi non è religioso ne riconosce la saggezza. La risposta più logica oggi è: sì, violiamo la privacy e salviamo la vita. Violiamo la complessità barocca dei sistemi di regolazione, la complessità su cui lo Stato moderno nella sua complessità si basa. Gli Stati sono cresciuti all'impazzata, l'Unione europea li ha arricchiti di complicazioni.
Oggi una famiglia o una persona sola si trova ridotta nello spazio domestico che è stato negli anni svuotato di significato a favore di un Leviatano tutto da rileggere, compresa la privacy quando diventa alternativa alla vita.
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