Si narra che Antonio Di Pietro avesse stima per Carlo Sama. In Galleria, in una libreria Rizzoli stracolma come uno stadio per la finale di Champions, l'ex pm di Mani pulite non c'è. Ma c'è Giuseppe Lucibello, il penalista che in quegli anni lontani e tumultuosi era considerato uno dei pochissimi amici del magistrato. E Lucibello, in piedi in un angolo, ascolta, poi conferma: «Sama ha dato la sua versione. Finalmente. E credo ci siano molti elementi su cui riflettere».
Alessandro Sallusti presenta il libro che il marito di Alessandra Ferruzzi, a sua volta autrice dell'introduzione, ha appena scritto per Rizzoli: La caduta di un impero. Naturalmente, l'impero dei Ferruzzi, il secondo gruppo industriale italiano, una realtà spazzata via nel giro di un'estate. L'estate del 93, facile suggestione per chi ricorda il Terrore rivoluzionario del 1793.
Le storie sono sempre complesse, ma diventano orfane di verità se a raccontarle sono solo i vincitori. Carlo Sama e Alessandra Ferruzzi, figlia del mitico Serafino, un uomo dalla liquidità leggendaria, appartengono al mondo degli sconfitti. Oggi, finalmente, arriva anche la versione di chi si trovò a combattere contro i poteri forti, come li si chiama con una convenzione non così naïf, e fu messo spalle al muro.
«Solo davanti alla procura di Ravenna - racconta un emozionato Sama - mi sono dovuto difendere con mia moglie da 156 capi d'accusa. Otto anni di processi, è stata durissima».
I rubinetti dei prestiti che si chiudono di colpo per un sortilegio maligno, le accuse più infamanti che portano via mezzo codice penale, il suicidio di Raul Gardini sullo sfondo di una epopea slittata in tragedia nazionale.
«Questo libro - spiega Sallusti - è come le matrioske. Ne apri uno e ne trovi un altro e poi un altro ancora e così avanti, e leggi questo intreccio di personaggi, scalate e sconfitte come un grande romanzo».
Per un capriccio del destino sembra di essere tornati a quella stagione e a quei processi. Chiudi gli occhi e ti trovi a Palazzo di giustizia di Milano, magari a un'udienza del processo Cusani. Sergio Cusani, il bracco destro di Gardini, arrestato, anzi accompagnato da chi scrive a San Vittore in taxi - e costretto a entrare da una porta posteriore, perché non ci si poteva consegnare alla giustizia passando per il portone principale - . Cusani, che non è nemmeno invecchiato, pare condividere anche le sillabe che Sama mette in fila con un eloquio torrenziale, dopo trentuno anni di silenzi e umiliazioni.
Nerio Diodà, l'avvocato di legioni di inquisiti a cominciare da Mario Chiesa, osserva appartato, poi commenta: «Ha detto solo la verità. Furono Enrico Cuccia e Mediobanca a decretare la morte del gruppo». Un gruppo in sofferenza dopo l'uscita di Gardini e la scalata sanguinosa a Enimont, la mangiatoia del potere politico che il potere non poteva cedere ad altri. Gardini voleva tutto per sé, molti, troppi a Roma gli girarono le spalle.
I Ferruzzi scivolano verso il precipizio, anche se ormai Gardini è uscito di scena. La procura di Milano apre un'indagine devastante, i riflettori dei media sono perennemente accesi, ma si potrebbe tentare il salvataggio di una costellazione che comunque ha aziende solidissime e redditizie.
Il libro è il racconto di questa discesa senza fine, dopo la salita dei decenni precedenti, la stagione strepitosa di Serafino Ferruzzi, che dal trading vira verso l'agrindustria, visionario come è visionario il Gardini dei primi tempi. Una trottola alla conquista di nuovi imperi. Fino a Montedison e poi a Enimont. È l'ultimo atto: l'impero frana. «Il 4 giugno 1993 - racconta al Giornale Diodà - accompagno Arturo Ferruzzi da Cuccia e Cuccia gli comunica che i suoi 600 miliardi, sparsi nei conti di mezzo mondo, sono bloccati. È la fine».
«Dobbiamo creare - così Cuccia apostroferà Sama - il più grande scandalo della storia finanziaria italiana».È la resa di chi voleva contrastare i disegni del salotto buono. Oggi quelle voci si riaffacciano dopo un lungo esilio.
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