Il ritmo della ripresa economica arranca a causa di fattori interni (l'inflazione che incide sui consumi) ed esterni (le strozzature di alcune filiere di approvvigionamento). È quanto emerge dall'indice della produzione industriale di ottobre rilevato dall'Istat che ha evidenziato un calo dello 0,6% rispetto al mese precedente (+0,4% le attese degli analisti) e un incremento del 2% su base annua (+4,5% il tasso di crescita a settembre). Il solo dato positivo è che la produzione industriale ha completato il recupero dai livelli pre-pandemici (+0,7% su febbraio 2020) e l'Italia è l'unica tra le quattro grandi economie dell'Eurozona. Le buone notizie finiscono qui: come ha osservato la direzione Studi di Intesa Sanpaolo, l'industria dovrebbe portare un contributo nullo al Pil nel trimestre in corso, salvo imprevedibili recuperi, e questo potrebbe incidere negativamente sui primi tre mesi del 2022.
Quarta ondata pandemica e shock energetico, infatti, rappresentano i maggiori rischi. Lo si vede anche nei dati congiunturali di ottobre della produzione industriale: il calo è stato diffuso poiché ha interessato i beni di consumo, i beni di investimento e i beni intermedi (-0,9%, -1,4% e -0,8% sul mese precedente rispettivamente), mentre è aumentata la produzione dei beni energetici (+2,3% annuo). Insomma, è il caso di aumentare il livello di guardia sia per il ritorno della domanda su valori standard sia perché l'incremento dei costi sta frenando l'attività degli impianti in alcuni comparti. Secondo l'Ufficio parlamentare di Bilancio, l'Authority sui conti pubblici, un persistente «aumento dei prezzi intaccherebbe il potere d'acquisto delle famiglie e potrebbe attivare una reazione della politica monetaria, con effetti avversi sull'attività economica».
Il minore dinamismo della congiuntura è certificato anche dalla Banca d'Italia. A ottobre la crescita dei prestiti alle imprese da parte delle banche italiane ha mostrato un ulteriore rallentamento a +0,6%, ritoccando il minimo da febbraio 2020, dal +0,7% del mese precedente. Dai dati di Via Nazionale è anche emerso un contenuto incremento delle sofferenze sia lorde che nette. In valori assoluti le sofferenze lorde sono passate da 44,7 miliardi di settembre a 46,1 miliardi e le nette da 15,4 miliardi a 16,8 miliardi. È proseguita la frenata dei depositi del settore privato che a ottobre sono cresciuti del 6,9% su base annua (+7,4% di settembre). È come se la liquidità si stesse restringendo in anticipo rispetto a un'effettiva contrazione dell'attività economica.
Ecco perché il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha criticato la scelta di Cgil e Uil di indire uno sciopero generale in questa difficile fase di transizione. «Solo una parte del sindacato ha accolto l'appello a un confronto concreto», ha detto il numero uno degli imprenditori appellandosi al «senso di responsabilità nazionale» e aggiungendo che una media di circa 250 scioperi nazionali ogni anno esprime «la ritualità di uno strumento che sembra essere ormai concepito sempre più come manifestazione identitaria».
Bonomi «non ha mai avuto il problema di doversi battere per migliorare la condizione non solo sua ma anche degli altri», ha replicato il segretario della Cgil, Maurizio Landini, confermando lo sciopero a dispetto di un'economia che comincia ad avere il fiato grosso.
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