«Faremo in modo di far crescere una generazione che ama i campi di battaglia per seguire il percorso dei loro padri: i martiri». E anche: «Non avremo pace finché non applicheremo la legge di Dio nella sua terra». Ecco il tenore dei messaggi delle chat whatsapp di chiara estrazione jihadista direttamente riconducibili allo Stato Islamico e che Alaa Refaei e Mohamed Nosair, arrestati ieri nell'ambito di un'operazione antiterrorismo a Milano, seguivano quotidianamente. Messaggi dal contenuto violentissimo, che non solo scaricavano sui loro cellulari ma che diffondevano su altre chat, allo scopo di fare propaganda.
«Morire nel tuo letto oppure durante un incidente o uno sparo, è uguale. Ma Allah sceglie le persone che scelgono di morire da martire per la causa di Dio». «Oh, musulmani, noi non combattiamo per proteggere una terra o per liberarla o per controllarla eccone un altro - non combattiamo per il potere o per avere delle posizioni. Combattiamo e combatteremo fino a quando l'intera religione sarà per Dio». Entrambi gli arrestati per associazione all'Isis e per istigazione a delinquere con finalità di terrorismo usavano i social per scaricare materiale utile diffondere la loro propaganda di apologia del jihadismo e dell'Isis: Whatsapp, Facebook, anche Tik Tok. E su ognuna delle piattaforme lasciavano traccia dei loro tentativi di agganciare altri alla causa dell'Isis.
Solo su Whatsapp gli investigatori hanno trovato utenze con numeri telefono riferibili a 79 Paesi. Lo Yemen, l'Azerbaijan, la Siria. Poi gli Stati Uniti e le nazioni africane dove tuttora è attivo maggiormente lo Stato Islamico, come il Mali, il Niger, il Congo, il Ciad e il Sudan. Non mancava nemmeno il Sud Est Asiatico, con i Paesi a maggioranza musulmana. L'ampio lavoro investigativo di Digos, centro operativo per la sicurezza cibernetica di Perugia, Direzione centrale della polizia di prevenzione e la postale è servito per scovare le loro tracce, finite dappertutto. Su Whatsapp si sono iscritti ai gruppi di ispirazione jihadista, come quello denominato «I soldati di Gerusalemme»: qui fioccavano video con riferimenti all'Isis, come quello in cui compare una pistola vicino a uno schermo dove appaiono foto del premier israeliano Benjamin Netanyahu e la bandiera israeliana. Il tutto con in sottofondo il Nasheed del Califfato. Ecco altri messaggi trovati sui social e riportati nell'ordinanza del gip Fabrizio Filice. «Sarà, con il permesso di Allah onnipotente, un messaggio dalla terra del Califfato, per gli ebrei soprattutto e per tutte le sette miscredenti e nemici in generale: questi piccoli corpi sono stati riempiti di Tawhid». Su Facebook altri contenuti rivolti ai non musulmani. «Oh scimmie e maiali! I monoteisti vi sgozzeranno come le pecore». E anche: «Promessa di Allah. Allah non manca alla Sua promessa». C'erano poi messaggi dal contenuto antisemita, che oggi suonano ancora più inquietanti alla luce della situazione internazionale e del conflitto israelo-palestinese: «Oh ebrei scimmie! Il nostro imminente appuntamento è a Gerusalemme». Eccolo Nosair come parlava in una intercettazione ambientale rilevata nella sera del 31 dicembre. Anche se non vi sono prove della sua disponibilità a compiere attentati, per gli investigatori le sue parole indicano una grande familiarità e capacità nel loro utilizzo. «Sparare con un'arma da fuoco - diceva - ti fa avere un cuore di ferro, qualsiasi persona che spara diventa rigida, con quella da fuoco... Perché io, ho sparato, e all'inizio avevo paura ma dopo mi sono abituato, hai capito?». Nell'ordinanza è riportata la pioggia di mi piace ai post dello Stato Islamico. Il pollice in su al post del giugno 2021: «Vertici egiziani: i militanti di Daesh hanno rapito almeno cinque civili nel Sinai». Altro like, a un altro post dello stesso periodo: «Daesh ingoia l'Africa occidentale e il Sahel di fronte all'incapacità internazionale di fermarlo».
Un altro ancora: «Ci alzeremo al di sopra di ogni Bandiera e frantumeremo le vostre croci che siete venuti a sollevare nel Levante, il cuore della patria dell'Islam a Dabiq». Ecco poi spuntare sui profili un giuramento di fedeltà e sottomissione ad Allah a cui dà in pegno la propria vita. «Possa Allah accogliere i loro martiri... guarisca i loro feriti ». Refai provava anche a indottrinare il figlio adolescente che viveva con lui in un appartamento a Monza insieme alla madre e agli altri fratelli. Messaggi che, scrive il giudice, erano «inequivocabilmente riferibili allo Stato Islamico». «Se vedessi un uomo con mia moglie, lo colpirei con la spada senza pietà», è la scritta che campeggia nello screenshot di un messaggio inviato dal padre al figlio in chat. Seguono video youtube con preghiere da memorizzare (Il ragazzino: «Come faccio a imparare tutto questo a memoria?».
Lo riprende il padre: «Come memorizzi i giochi e Youtube...»). E poi uno stendardo nero dell'Isis, l'elenco dei precetti del buon musulmano secondo uno dei pensatori più radicali dell'Islam, sintesi grafiche di questi ultimi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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