L'eco del caso Luca Palamara e lo squallore dietro il carrierismo di alcuni magistrati rimbomba anche nei corridoi di un tribunale in Italia. Dove spariscono prove, armi e gioielli. Nel nulla.
Chi è stato? Non si sa. Chi non lo ha impedito? In un Tribunale? Non è dato saperlo. Il pubblico ministero si è arreso: non ci sono colpevoli perché la Procura non riesce a stabilire con certezza chi dei due funzionari presso l'Ufficio corpi di reato all'epoca dei fatti si sia reso responsabile di fatti di gravità inaudita, certificati dagli ispettori mandati dal ministero della Giustizia e messi nero su bianco dalla Procura del capoluogo lariano, dopo che sono stati distrutti alcuni reperti decisivi su cui era atteso un esame del Dna, nonostante quattro provvedimenti di sospensione della Corte d'Assise di Como e un'ordinanza di sospensione della Corte d'Appello di Brescia con cui se ne disponeva la conservazione.
Sono le prove che avrebbero potuto scagionare Olindo Romano e Rosa Bazzi dall'accusa di essere gli esecutori della Strage di Erba, per cui sono stati condannati all'ergastolo in un processo con troppe ombre e pochissime luci. Come i lettori ricorderanno, l'autore della distruzione delle prove fu persino inseguito dalle Iene. Se l'è cavata con un buffetto. In Italia la giustizia a volte funziona così.
La funzionaria che l'ha sostituito, a fine gennaio 2019, qualche tempo dopo disse di aver trovato altri cinque scatoloni di materiale sulla strage sfuggiti al rogo. Peccato che lo stesso plico fosse stato ritrovato da un altro dirigente, a settembre del 2018, e lo documenterebbero le 36 fotografie scattate sui sigilli, non violati. Ma di quel ritrovamento non c'è alcuna relazione. Né di questi scatoloni furono informati gli 007 mandati dal Guardasigilli Alfonso Bonafede, arrivati in riva al lago dopo il clamore della trasmissione di Italia 1.
Eppure, come vedremo nella puntata delle Iene in onda stasera, quell'incidente è solo la punta dell'iceberg di uno scandalo clamoroso. Nella relazione fatta sulle condizioni dell'ufficio - e che il Giornale ha potuto solo consultare - si raccontano particolari agghiaccianti, confermati anche dai verbali degli ispettori, arrivati nel marzo del 2019: reperti privi di riferimenti ai processi; una pistola appoggiata su una scrivania e poi sparita. Armi, fucili e proiettili senza riferimenti. Non si trova neppure una parte della droga sequestrata. Un suk. Tanto che, per stessa richiesta degli 007 di via Arenula, la stessa ispezione è stata sospesa in attesa della bonifica dei registri. Ma non è la prima volta che gli ispettori fanno capolino nel tribunale comasco. Anche nel 2017 da un controllo ordinario si erano accorti che mancava perfino un elenco generale dei reperti, e che c'erano lì armi addirittura dal 1974. Perché la consuetudine evidentemente non era quella di distruggere le prove.
E qui il mistero delle manine impunite che al Tribunale di Como fanno apparire e sparire prove, droga, gioielli e armi, si intreccia con i misteri della Strage di Erba e di alcune prove contenenti Dna degli assassini che secondo i legali avrebbero potuto scagionare la coppia condannata all'ergastolo. Già, perché dopo la visita degli 007 di Bonafede l'allora presidente del tribunale chiese ai funzionari di distruggere «esclusivamente» i reperti dei procedimenti dell'ex Pretura e di catalogare tutti gli altri. Invece a finire distrutti, come sappiamo, sono state prove che due tribunali avevano chiesto di preservare perché la difesa ne aveva chiesto un'analisi. Coincidenze? Difficile pensarlo.
«La richiesta di archiviazione è affrettata, specie se si considera la mancanza di completi atti di indagine volti a definire i contorni di una vicenda dalle gravi implicazioni - sottolinea con amarezza il legale della coppia Fabio Schembri, che si è opposto al provvedimento di archiviazione - Non possiamo dimenticarci che in carcere ci sono due persone che si proclamano innocenti e che da cinque anni aspettano di poter analizzare dei reperti che invece sono andati distrutti».
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