Quella pubblicità in cinese che racconta la nuova Milano

La città guarda stupita il mega-cartellone sorto a Cadorna. Un simbolo di come ormai la città sia cambiata per sempre

Quella pubblicità in cinese che racconta la nuova Milano

Per via Palosappi saremmo geograficamente un po' fuori mano, diciamo così. Siamo in piazzale Cadorna, a Milano, ci sarebbe il Parco Sempione da circumnavigare nella marea da Expo che sta già montando, fra tedeschi della Ruhr in ciabatte, cingalesi con bastoncini da selfie e modelle/hostess multietniche con tacco 12 virgola qualcosa. Ma idealmente in via Palosappi ci siamo già. E anche in Porta Cinès , come i nostri genitori e i nostri nonni chiamavano la Porta Ticinese, rimuovendo il «Ti» di Ticino e lasciando i cinesi proprio lì dov'erano fin da allora, ai tempi di Giovanni D'Anzi e del suo Biscella , impettito « cont la camisa color di scires, cont la marsina color del zafran » (camicia color ciliegia e marsina color zafferano, accostamento di colori molto cinese, in effetti).

Siamo in piazzale Cadorna, e dietro l' Ago, filo e nodo dei coniugi Oldenburg, svedesi, è spuntata quella che a tutti gli effetti potremmo chiamare un'altra installazione post-moderna: un bel manifesto pubblicitario di metri tot per tot scritto in cinese. Non chiedeteci che cosa pubblicizzi. Chiediamoci invece che cosa sia. La risposta è semplice: un segno dei tempi, non apocalittico, ma integrato sì, come insegna il professor Umberto Eco, alessandrino e milanese d'adozione.

Dicono che Milano dopo Prato sia la città italiana più cinese. Se parliamo di numeri, va bene. Se però mettiamo i numeri da parte, non c'è settore del tessile che tenga, con i suoi aghi e fili e nodi: Milano è l'indiscussa capitale della Cina italiana. Talmente capitale da recuperare, proprio tramite gli innumerevoli signori Chang e signore Wu, il suo antico spirito di media, piccola e microscopica imprenditorialità. Via Palosappi (cioè Paolo Sarpi) è, per loro, ciò che Piazza Duomo è (era?) per noi: il centro. Ma il centro è tale se ci sta qualcosa intorno. E intorno ci stanno appunto i cinesi. E che cosa fanno i cinesi amblosiani ? Quello che fanno in Cina: lavorano. Solo che là devono farlo perché lo vuole il Partito, qui vogliono farlo perché lo vuole il libero mercato. Partiti dal comunismo, sono arrivati al consumismo. Ma a consumare siamo noi italiani, mentre loro conservano o, se qualcosa si rompe, lo aggiustano. A metà prezzo (quando proprio sono esosi) e con emissione di regolare scontlino .

E sugli scontlini vediamo gli stessi (più o meno) ideogrammi che vediamo in piazzale Cadorna, e che non ci dicono niente ma vogliono dire tutto. Vogliono dire che l'Occidente ha troppo spesso predicato bene e razzolato male, mettendo il carro del profitto davanti ai buoi della fatica, o, se preferite, le parole davanti ai fatti. I cinesi dei tempi di Giovanni D'Anzi, anni '40, '50 e '60, non Paleolitico, s'erano specializzati in clavatte . Quelli di oggi sono specializzati in tutto, anche se non portano la cravatta e se non fanno la ceretta ogni dieci giorni. Viene quasi il sospetto che via Palosappi la chiamino così per farci un piacere, per farci sentire migliori di loro.

Sono cinesi, hanno aspettato il loro momento.

E adesso che il loro momento è arrivato, ci piazzano un manifestone in piazzale Cadorna perché noi ci si domandi: che cosa vorrà mai dire? Vuol dire «svegliatevi». Se l'imprenditore Bellusconi meditasse la mossa giusta? In «Milan» non ci sono erre...

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