Romi, Emily e Doron, le tre israeliane ostaggio per 471 giorni di Hamas, sono state liberate a Gaza. Ma il loro destino non si deciso né lì, né a Gerusalemme, né a Doha bensì in quelle anticamere del potere da dove Donald Trump ha iniziato, in queste settimane, la marcia su Washington. Quando l'11 gennaio Steve Witkoff, l'ex palazzinaro spedito da Trump a negoziare la tregua, s'è trovato davanti il premier israeliano Bibi Netanyahu non è andato per il sottile. «O chiudiamo entro il 20 - gli ha detto - o faccio i bagagli e vi lascio discutere con Hamas». Così in cinque minuti l'accordo sulla tregua, rimandato per otto mesi, è diventato realtà. Ma non finisce qui. La nuova era - inaugurata oggi nella Rotonda del Campidoglio di Washington sotto gli occhi compiaciuti di quel nuovo gotha digital-tecnocratico composto da personaggi come Elon Musk, Jeff Bezos e Mark Zuckenberg - si preannuncia come un'epoca in cui non saranno ammesse proroghe o rimandi di comodo. The Donald ha solo quattro anni per ridisegnare l'America e il mondo. E non vuole perdere tempo. E tantomeno intendono farlo coloro che hanno investito su di lui. Il primo a capirlo è un premier israeliano abilissimo, fin qui, a farsi beffe di un'amministrazione Biden che gli chiedeva una soluzione per Gaza. Ora non ha più alternative.
Come gli ha brutalmente fatto capire Witkoff deve scegliere se ascoltare Washington e restare al potere o accomodarsi davanti ai giudici del proprio Paese. Per restare dovrà completare lo scambio di ostaggi, rilanciare la normalizzazione dei rapporti con l'Arabia Saudita bloccata dai massacri del 7 ottobre e iniziare assieme a Riad quel processo di pace mediorientale considerato obiettivo primario e fondamentale dal nuovo inquilino dello Studio Ovale. Ma, intendiamoci, nel nuovo corso disegnato da Trump e dai suoi consiglieri non ci sarà spazio neanche per Hamas e i suoi sponsor. «Ad Hamas non sarà più consentito governare la Striscia di Gaza» ha annunciato ieri alla Cbs Mike Waltz, prossimo Consigliere per la Sicurezza Nazionale. E il ricco Qatar non potrà più permettersi di ospitare le basi militari statunitensi mentre sotto banco continua a foraggiare non solo Hamas e i talebani, ma anche varie altre formazioni del terrore islamista legate all'Isis o ad Al Qaida.
Di tutto ciò dovrà far tesoro un Iran che ben presto dovrà scegliere se negoziare la rinuncia all'arma atomica o subire il bombardamento e la distruzione di quelle infrastrutture nucleari considerate la principale minaccia per Israele e il regno saudita.Ma, attenzione, il Medioriente è solo la prima tappa del nuovo corso. E il faccione corrucciato di The Donald è solo il volto di un'America decisa a tornare grande e unica potenza.
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