L'arma del gas usata come ricatto per scoraggiare il supporto militare all'Ucraina sta portando l'Europa a fare a meno di Mosca. E, a quasi un anno dall'inizio del conflitto, la Russia, isolata, ha ormai perso la sua leva economica sul mercato globale. Mentre la propaganda del Cremlino non basta più per far digerire le sconfitte sul campo e gli effetti delle sanzioni sulla vita reale, il malcontento represso rischia di compromettere la tenuta sociale. «Nessun tentativo dello Zar di contrastare le sanzioni - ci spiega Vladimir Milov, viceministro russo dell'Energia durante la prima presidenza Putin, ora leader insieme ad Aleksej Navalny del principale partito d'opposizione Scelta democratica - salverà la Russia da un collasso economico senza precedenti. Come dimostra la dissoluzione dell'Unione Sovietica, il cambiamento può avvenire in un attimo. Questo è il motivo per cui i leader occidentali devono solo dare alle sanzioni il tempo di fare effetto».
A giudicare dai dati, però, non sembrerebbe che le sanzioni stiano funzionando.
«Gli indicatori macroeconomici sono fuorvianti. Secondo il ministero delle Finanze russo il Pil si contrarrà del 2,7%. Ma questo dato include l'aumento della produzione militare per sostenere il conflitto. In pratica, un carro armato nuovo inviato al fronte viene ancora conteggiato come contributo nominale al Pil. La disoccupazione ufficialmente è al 3,7%, con solo 2,7 milioni di russi disoccupati. Ma aggiunti i quasi cinque milioni di lavoratori russi soggetti a varie forme di disoccupazione nascosta, come il congedo non retribuito, si arriverebbe al 10%: un dato paragonabile ai peggiori livelli degli anni '90. Anche il rublo si è rafforzato, ma solo perché le importazioni sono crollate e il governo ha reso impossibile prelevare denaro e convertirlo in valuta estera».
Anche il ricatto del gas si sta rivolgendo contro lo Zar.
«La scommessa di Putin era che i paesi europei non sarebbero riusciti ad assicurarsi le scorte per l'inverno prima che lui chiudesse i rubinetti. Scommessa persa. L'Ue ha ripiegato su altri fornitori, e Mosca è rimasta senza un mercato che gli garantisca le entrate per sostenere l'economia».
Quale sarà l'effetto sul medio-lungo termine?
«Un crollo profondo e senza precedenti dell'economia, con un impatto generalizzato sulla qualità della vita, i redditi, il tasso di occupazione, il potere d'acquisto e le possibilità di accesso ai beni di consumo».
Perché i russi stanno ancora con Putin?
«I sondaggi che lo danno oltre il 70% nascondono una realtà molto più complessa. Chi è contro non lo dice perché teme per la propria incolumità. Ho lavorato per sei anni a contatto con le élite al potere e anche lì il sostegno nei confronti dello zar è bassissimo. Il problema è che la gente ha paura a parlare».
Quindi non è detto che Putin venga riconfermato nel 2024?
«In un anno può cambiare tutto. Anche che, di fronte alle ripetute umiliazioni sul campo e agli effetti delle sanzioni sull'economia, perda l'appoggio dei suoi sostenitori più accaniti».
E cosa ne sarà della Russia dopo? Si parla di Prigozhin, Kadyrov, Navalny come di possibili nuovi leader.
«Prigozhin e Kadyrov non hanno nessuna chance. La loro importanza è gonfiata dai media. Nel futuro della Russia Navalny può avere un ruolo ma serve un profondo processo di democratizzazione.
E io sono sicuro che con il crollo del sistema risorgerà quel bisogno di democrazia e di chiudere con il passato imperialista, già visto negli anni 80. Un'occasione unica per la Russia che all'Occidente, questa volta, converrà non snobbare».
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