Quando il vero aiuto arriva dai Social

Il lampo veloce di una notifica illumina lo schermo insonne dello smartphone

Quando il vero aiuto arriva dai Social

Il lampo veloce di una notifica illumina lo schermo insonne dello smartphone. È Facebook. «È stato confermato che Mario Rossi e altre otto persone stanno bene durante gli attacchi di Parigi». Deglutisci. Magari non ci avevi neppure pensato, oppure non facevi che cercare qualche informazione incollato davanti al televisore o al pc. La mattanza di Parigi, le bestie di Allah, i kamikaze, il sangue, i kalashnikov. Siamo tutti coinvolti. Abbiamo tutti un amico in Francia. L'inferno è a portata di clic, dello sfioramento di un touchscreen. «Stiamo bene» è il nome del servizio che Zuckerberg ha messo a disposizione di chiunque si trovasse nella capitale francese e che ieri ha animato tanti dei nostri profili. Un'applicazione già utilizzata, l'ultimo terremoto in Nepal, che permette a un utente di comunicare a tutti i suoi contatti se sta bene. Se è vivo. Se è sopravvissuto. La rete è tutto e il suo esatto contrario. Una nostra appendice sempre pronta a infiammarsi. A bruciare in polemica o caramellarsi in ipocrisia. A volte un boomerang, altre una lama, ma anche un salvagente, un paracadute. Forse ne è addirittura l'essenza: invisibile ma pervasiva, in nessun posto ma ovunque. Come la nostra paura, come il nostro nemico. Ma è anche una delle nostre scialuppe di salvataggio. Ieri le finestre di questo gigantesco condominio globale si sono illuminate e poi aperte sulla voragine che si è mangiata la notte parigina. Come quelle finestre alle quali hanno appeso la loro vita i ragazzi in fuga. Molti di loro, mentre erano ostaggi, hanno urlato la loro disperazione attraverso la rete, hanno raccontato quello che succedeva all'interno dello stadio o del teatro. Hanno chiesto aiuto. Un messaggio in bottiglia scagliato nel mare sterminato del web. «Vivo. Solo dei tagli...Una carneficina... Cadaveri ovunque». E poi l'appello disperato: «Sono al primo piano... Fate in fretta». Sono i messaggi pubblicati su Facebook e su Twitter da Benjamin Cazenoves, mentre era lì, nel girone infernale del Bataclan, tra tagliagole e cadaveri. I social - in questa occasione - sono arrivati dove nessuno poteva arrivare, hanno fatto da cassa di risonanza a chi gridava in silenzio, hanno costituito una pista fondamentale per quelli che cercavano di risolvere quel rebus dell'orrore. Non ci sono soltanto la solidarietà, le bandiere francesi e i vari «je suis» d'ordinanza, che spesso sono solo pochette con cui addobbare il proprio ego. Ci sono stati il «servizio» e la «pubblica utilità». Poco dopo gli attentati su Twitter inziavano già a comparire hashtag come RechercheParis, per aiutare il ritrovamento dei ragazzi dispersi al Bataclan, e PorteOuverte, per offrire un alloggio a tutti i cittadini che non potevano tornare a casa o dovevano trovare un rifugio il prima possibile.

Il 13 novembre 2013 rimarrà l'11 settembre dell'Europa e di tutti noi, ma è anche la data nella quale i network hanno dimostrato di essere veramente social(i). Certo, su Twitter e Facebook, ci sono anche loro: le bestie che rivendicano e inneggiano alla carneficina. Ma ci siamo anche noi. E questa guerra mondiale bastarda, dobbiamo combatterla anche così.

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