Le quattro sfide per il fisco del futuro

La legge di bilancio di fine anno ha rappresentato l'ultimo atto della miriade di "misure difensive" adottate dal governo Conte per fronteggiare la pandemia.

Le quattro sfide per il fisco del futuro

La legge di bilancio di fine anno ha rappresentato l'ultimo atto della miriade di «misure difensive» adottate dal governo Conte per fronteggiare la pandemia. Rinvii e bonus senza logica sistemica (e a rischio aiuti di Stato) e soprattutto senza consapevolezza che il Paese ha bisogno di altro, e in fretta. In primis, Mario Draghi è l'unico che può riformare l'incivile (non solo giuridicamente) iter di approvazione della legge di bilancio. Anche quest'anno 7.000 pagine di emendamenti e un legiferare farraginoso tra infiniti commi e rinvii. Occorre una discussione seria in Parlamento di un testo preparato con sistematicità e attenzione, senza assalti alla carovana.

Al netto dell'aspetto generale, è evidente che il centro del discorso sia il fisco. Riforme serie all'orizzonte non se ne sono mai viste in questi anni e la vaghezza (anche) sul punto del Piano Nazionale di ripresa e resilienza (il cosiddetto PNRR) ne è una conferma. Sporadicamente sono affiorate idee di flat tax che dimenticano che quasi tutte le aliquote sono già flat (dividendi, capital gain, ecc.), che l'Irpef la pagano in pochi (il 12% dei contribuenti paga il 58% del tributo) e che la metà dei contribuenti applicano già una aliquota più bassa di quelle proposte dai fautori della flat tax. Ma almeno la flat tax, se calibrata partendo dalla determinazione degli imponibili, ha la sua dignità e da essa - come chiedono alcuni al neonato governo - si può partire, senza ricorrere a copiaticci di modelli esteri. Per non farci mancare nulla, è arrivata anche una scomposta proposta di patrimoniale, senza pensare che le patrimoniali ci sono già, su tutte l'Imu, che da sola vale 20 miliardi, un gettito maggiore di quello che stimavano i sostenitori della proposta per fortuna naufragata. Sullo sfondo la solita lotta all'evasione da tutti invocata ma da pochi conosciuta.

È una piaga da studiare ex ante, dall'evasione di necessità, alle frodi, all'evasione da riscossione. L'evasione vera non è quella delle multinazionali, con le quali vanno cercati accordi, non guerre, spingendole ad investire e ad assumere, altro che accusarle per partito preso (qui l'esempio su tutti è la tassazione dei colossi del web, che non si risolve con un balzello nazionale).

Quali sono dunque i nodi che il nuovo esecutivo Draghi dovrà affrontare nel campo fiscale?

1) Partiamo dalle aziende, premiando il reddito da lavoro. Favorire l'attrazione di investitori esteri, ai quali va garantita certezza del diritto. Soprattutto occorre uno shock che spinga a investire nelle tre sfide cruciali: digitale, green (ESG) e infrastrutture; utilizzare i meccanismi di quello che chiamiamo «fisco di stimolo», tipo patent box, ACE e iper ammortamento (con un moltiplicatore per chi mantiene la forza lavoro).

2) Sulle persone fisiche, occorre conoscere meglio i contribuenti, superando il sistema della dichiarazione dei redditi e introducendo il monitoraggio (non la tassazione) del patrimonio e degli investimenti, stile RW domestico; andare oltre la distinzione redditi di capitale/redditi diversi, premiare la famiglia (l'Istat ci dice che i nati nel 2020 sono 20mila in meno). Riequilibrare la tassazione tra reddito da lavoro (oggi martoriato) e rendita.

3) Sulla lotta all'evasione, di lotteria degli scontrini e cashback si parla a sproposito. Aiutano, se gestite a livello di infrastruttura tecnologica (e anche, per il cashback, se limitato alle attività a rischio evasione), ma il toro va preso per le corna. Occorre una voluntary disclosure (non un condono) dei capitali non regolari con un focus sul contante (150 miliardi di banconote in circolo). Le somme regolarizzate vanno poi canalizzate verso l'economia reale, invitando ad esempio a effettuare ricapitalizzazioni aziendali o a sottoscrivere titoli del debito pubblico, «ricomprando» il nostro debito (avere in casa nostra il debito pubblico è l'unico modo per gestirlo, in quanto lo stabilizza e lo protegge dalle speculazioni dei mercati). Va infine promossa la cultura della compliance e della gestione dei rischi, senza arrivare agli eccessi del grande fratello fiscale in stile segnalazioni antiriciclaggio. Troviamo un compromesso tra l'esigenza di compliance e l'esigenza di non morire di burocrazia.

4) Serve uno strumento per gestire i 50 milioni di atti rinviati causa Covid in arrivo da marzo.

Aborriamo i condoni ma va studiata una pace fiscale (che funzioni attingendo da esperienze come adesione e transazione fiscale) che, in contraddittorio con i contribuenti, porti la maggior parte di questi ultimi a sistemare la pendenza fiscale e a ripartire ad investire e a consumare. C'è molto più bisogno di investimenti, consumi e gestione di crisi di imprese che di nuove tasse.

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