Quegli intolleranti che si sentono nel giusto. E l'eterna ricerca del fascista immaginario

Quando Umberto Eco rifiutò un'intervista perché "non parlo con voi del Giornale"

Quegli intolleranti che si sentono nel giusto. E l'eterna ricerca del fascista immaginario
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Sono passati parecchi anni, più di venti. Se sono qui a raccontarla è per fare i conti con l'intolleranza dei «giusti», quelli che si sentono sempre dalla parte della ragione. Tutto comincia con una telefonata. È l'ufficio stampa di Bompiani e mi invita a Bologna con l'idea di intervistare un grande scrittore. È uno di quelli che da ragazzo mi piaceva parecchio. I suoi diari minimi erano una sfida intellettuale. Mi affascinava l'ironia, il paradosso, il gioco letterario. Mi sono perso chiaramente anche nel suo primo romanzo, seguendo il suo medioevo immaginario, dove i saggi hanno gli occhi spenti e detestano le risate. L'istinto mi dice che è meglio non incontrare gli autori preferiti e di certo lui detesta il quotidiano per cui lavori. Alla fine però dici sì. Il direttore è d'accordo e si va a Bologna. Non sei solo. Lì ci sono una decina di giornalisti, tutti in fila per l'intervista. Si parlerà di Baudolino e altre facezie. L'ordine dell'incontro lo decide direttamente lui. Sono le tre del pomeriggio e chiama il primo, poi il secondo, il terzo e così via. Sono quasi le otto e alla fine ne resterà solo uno. L'ufficio stampa mi dice: «Mi dispiace che ancora non ti abbia chiamato». Risposta: «Non importa. Non mi interessa essere il primo o l'ultimo». Quando non c'è proprio più nessuno mi avvicino. Il grande scrittore mi guarda senza sorridere. «Non farò l'intervista con lei». Sembra uno scherzo da Franti. Non vorrei crederci ma chiedo perché. «Non parlo con quelli del Giornale». Ok. Rispondo con molta calma e penso che anche se questa è un'offesa rispetto la libertà di non parlare. Allora mi sentivo molto Adso da Melk. «Va bene, non posso certo obbligarla a fare un'intervista, magari se mi risparmiava il viaggio sarebbe stato meglio. Pazienza». Prima di andarmene, con una buona dose di sconcerto, allungo la mano e dico: «La saluto». Niente. Resta fermo. Non mi concede neppure l'onore delle armi. Lì capisco che il grande autore non ha nulla a che fare con il tollerante maestro Guglielmo da Baskerville, ma è il vecchio Jorge, il cattivo della storia. È lui, in questo caso, l'ottuso.

Non ho più incontrato Umberto Eco, ma non smetterò mai di ringraziarlo. Mi ha fatto vedere come una meravigliosa intelligenza si è piegata al pregiudizio ideologico. Quel giorno lui ha visto la «divisa» e non l'umano. Mi sono chiesto da dove viene questo cortocircuito. La risposta credo abbia a che fare con il «fascismo eterno». È la differenza che c'è tra i libertari e quelli che definisco i «neo platonici». I primi stanno attenti a qualsiasi violazione dei diritti inalienabili. Sanno benissimo che la libertà e la democrazia sono fragili, a rischio, e sempre di più. Non hanno però bisogno di un nemico. Non costruiscono a priori ombre nere. I secondi si nutrono di antitesi. Quasi non sanno vivere senza «Ur-Fascismo». Ne hanno bisogno per giustificare la loro idea di democrazia, che non prevede la vittoria di chi loro sentono e considerano, al di là di ogni ragionevole dubbio, impresentabili. È la democrazia dei filosofi, dei tecnici, degli scienziati, dei giudici, degli arroganti, sostanzialmente dei presunti migliori. Se le cose non vanno come dovrebbero andare tirano fuori il fantasma, sempre più scuro, del fascismo eterno. È una litania che funziona anche con i più disincantati, perché comunque conviene. È così che in Italia la libertà di stampa è velocemente a rischio da quando al governo c'è Giorgia Meloni. Prima era tutto tranquillo. La stampa per me è a rischio da quando diventa sempre più difficile intervistare qualcuno senza domande scritte. Infatti ho smesso di fare interviste. È a rischio perché i giornalisti vengono pagati troppo poco e questo mestiere rischia di diventare un hobby. È a rischio perché c'è troppa gente in giro che prende soldi da ambasciate straniere. Ora non c'è lo spazio qui per raccontare i miei dubbi e le mie paure. Nessuno d'altra parte mi ha chiesto un parere per contribuire al dossier sulla libertà di stampa. Non avranno avuto il mio numero. Meglio così: non avrei accettato. Sono uno di quelli per cui un giornalista è solo un giornalista. Chi lo ha fatto non ha chiaramente nulla di cui vergognarsi.

Se sono convinti che in Italia stampa e giornalisti siano sotto attacco fanno bene a dirlo, mettendoci nomi e cognomi. L'importante è non confondere una sequenza di autori vari in una lista di proscrizione. È quello che purtroppo fa Andrea Malaguti, direttore della Stampa, così ossessionato dal fascismo eterno da finirci dentro.

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