Il mondo del lavoro è attraversato da gravi disagi, attestati pure dal fatto che in questi giorni taluni dipendenti sono stati lasciati a casa con un semplice messaggio via WhatsApp, mentre altri lavoratori non solo nella sanità temono di perdere il posto in quanto indisposti a farsi inoculare un siero. Il tema più drammatico resta comunque la disoccupazione e in particolare quella giovanile, se si considera che gli ultimi dati diffusi da Confcommercio dicono che in Italia quanti non studiano, non lavorano e non si formano sono ormai 2 milioni, pari al 22% della popolazione di quell'età (mentre in Spagna sono il 15% e in Germania soltanto il 7,6%). Le ragioni sono numerose, a partire dal fatto che il Mezzogiorno, dove si concentrano molti di questi ragazzi, da decenni è vittima di politiche di aiuto che nei fatti costringono i giovani ad andarsene e rendono arduo, per chi rimane, conquistare una vera indipendenza economica. Ma c'è pure un altro dato, che riguarda il Paese nel suo insieme: il fatto, cioè, che l'Italia da tempo non cresce e anzi regredisce. Paragonate a quelle dei loro genitori nei decenni scorsi, le condizioni dei giovani sono assai peggiori, anche perché questi ultimi dispongono di una parte assai ridotta del patrimonio totale. Come hanno rilevato Massimo Baldini, Luca Beltrametti e Carlo Mazzaferro, «la quota di ricchezza totale detenuta dalle famiglie con capofamiglia di età inferiore a 45 anni passa, tra il 2000 e il 2016, dal 25 al 15 per cento. Nello stesso periodo la quota detenuta da famiglie anziane (più di 65 anni) passa dal 28 al 40 per cento». Non soltanto nel suo insieme il Paese è più povero, ma il controllo delle risorse si è ancor più spostato verso gli anziani. Di conseguenza, i giovani sono spesso costretti a vivere dell'aiuto dei genitori. Tuttavia, questo non è chiaro a molti. La convinzione che oggi si stia meglio di ieri e che il domani sarà senza dubbio migliore sembra dominare tanti, che non si rendono conto che in un Paese impoverito non è lecito nutrire illusioni. Tale sfasatura tra la realtà dell'Italia e il modo in cui si pensa è pure all'origine del fatto che numerosi giovani attendono una posizione lavorativa che probabilmente non arriverà mai. Non soltanto non scelgono il miglior percorso di studi capace di metterli al servizio di quello che il pubblico vuole (e tale da dar loro un'occupazione), ma pensano che sia un loro diritto disporre di un certo reddito e di una buona posizione sociale. Il risultato è che abbiamo numerosi giovani che non fanno nulla, ma anche moltissime imprese che cercano dipendenti e non li trovano.
Per voltare pagina è dunque necessario che la politica faccia la sua parte: riducendo il peso dello Stato e facilitando la vita, in particolare, a chi vuole creare nuove imprese. Al tempo stesso, è opportuno guardare la realtà, oggi, per quella che è. Si tratta del solo modo che ci può permettere di iniziare a cambiarla e migliorarla.
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