"Quei magistrati militanti che vogliono dettare virtù". Intervista a Sabino Cassese

Per il giurista è normale che i partiti vaglino le nomine pubbliche: "Purché prevalgano le competenze"

"Quei magistrati militanti che vogliono dettare virtù". Intervista a Sabino Cassese
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E dove starebbero lo scandalo e il reato, se una dirigente di Fratelli d'Italia avesse avuto un ruolo nella scelta di alcuni dirigenti di aziende pubbliche? In un sistema come il nostro, spiega Sabino Cassese (nella foto) - docente universitario, già ministro della Funzione pubblica nel governo Ciampi ed ex giudice costituzionale - la voce dei partiti è ammessa, fin quando non si sconfina nell'arbitrio.

Professor Cassese, la premier Giorgia Meloni considera verosimili le voci di un agguato giudiziario a sua sorella, le opposizioni la accusano di sindrome paranoica di accerchiamento. Chi ha ragione?

«Dovrei conoscere i fatti o avere la lanterna magica per risponderle».

È un dato di fatto che tutti i governi che hanno cercato di mettere mano al sistema giustizia sono stati colpiti, Renzi compreso, da inchieste penali. Ci sono buoni motivi per pensare che il sistema sia cambiato?

«Da parte dei governi e dalla politica in generale dovrebbe esserci massimo rispetto per il lavoro della magistratura, che svolge un compito molto difficile. Oggi il rispetto è spesso sostituito dal timore perché una piccola parte della magistratura, quella composta dai magistrati militanti, è interessata a dettare le regole della virtù ai cittadini e quelle dell'azione politica ai partiti. Dall'altra parte, quella della magistratura, dovrebbe esserci massima indipendenza, ciò che comporta una sua assenza dallo spazio pubblico, invece oggi sostituita dal cosiddetto naming and shaming: quello che in italiano traduciamo con additare al pubblico ludibrio».

Che il sistema delle nomine pubbliche passi per il vaglio dei partiti non dovrebbe essere considerato normale?

«Il manuale Cencelli non era stato scritto dal governo, ma da uno dei partiti delle coalizioni precedenti alla cosiddetta seconda Repubblica. In un regime partitocratico è normale che dirigenti di partito partecipino alle procedure interne di scelta del personale pubblico di nomina discrezionale. Il vero problema sta altrove, quando, per le scelte, il criterio della competenza viene sostituito da quello dell'appartenenza, e quando si amplia il numero già troppo alto delle posizioni pubbliche occupate non in base al criterio del merito, ma sulla base di criteri di altro tipo, quale appartenenza a un partito o lealtà ad esso. Sostengo da tempo la necessità di limitare il numero delle posizioni pubbliche e para-pubbliche alle quali si accede per nomina discrezionale, prevedendo formule di analisi comparativa che consentano di verificare il merito e permettano a tutti, in condizioni di eguaglianza, di accedervi».

Il reato di traffico di influenze, nelle sue tre diverse versioni viste in questi anni, confligge con i principi di tassatività e di chiarezza della norma penale?

«L'articolo 346 bis del codice penale, sul traffico di influenze illecite, dispone che chi, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, ovvero per remunerarlo in relazione all'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi. Dà attuazione alla convenzione di Strasburgo del Consiglio d'Europa del 1999, articolo 12, convenzione ratificata in Italia nel 2012. Ha posto problemi nella giurisprudenza, che riguardano l'offensività del reato, la legalità, la natura di reato di pericolo, il problema della consumazione del reato, la necessità di stabilire i rapporti tra illecito penale e illecito amministrativo, considerando che l'attività punita è anche sottoposta al controllo del giudice amministrativo e a quello dell'Autorità nazionale anticorruzione e che la sua configurazione potrebbe coprire anche i compiti svolti dalle cosiddette lobbies e cioè delle rappresentanze di interesse».

La reazione indignata dell'Associazione nazionale magistrati le appare giustificata?

«Fa parte dell'azione tipica della magistratura militante».

Il vero scenario sullo sfondo è quello del disegno di legge costituzionale di riforma della giustizia. Nel testo attuale, vi vede rischi concreti di lesione dell'indipendenza del pm?

«Non vedo come si possa dire che la cosiddetta separazione delle carriere limiti l'indipendenza delle procure, se, come proposto, l'indipendenza

di queste ultime è garantita esattamente nello stesso modo in cui è assicurata quella dei magistrati giudicanti oggi e, quindi, esiste un consiglio superiore ordinato nello stesso modo per i due corpi della magistratura».

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