Quei pregiudizi sulla proposta della Meloni

Come Omero, anche un costituzionalista di valore come Gustavo Zagrebelsky a volte si appisola

Quei pregiudizi sulla proposta della Meloni

Come Omero, anche un costituzionalista di valore come Gustavo Zagrebelsky a volte si appisola. E anziché esprimere giudizi sulla proposta di legge costituzionale Meloni sul semipresidenzialismo bocciata dalla Camera e riproposta da tutto il centrodestra, mette in bella vista i suoi pregiudizi. Se ci si abbarbica al quieta non movere, non c'è nulla di meglio che invocare il «Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799» di Vincenzo Cuoco o le «Memorie» di Giovanni Giolitti. I quali sostenevano che se un Paese ha la gobba, il sarto deve tener conto della malformazione.

Del resto, nel redigere lo Statuto i ministri di Carlo Alberto sostennero che occorreva adeguarsi alle specificità del caso italiano. Salvo poi ricalcare la Carta francese del 1830 proprio nel momento in cui la consorella latina dava vita alla Costituzione del 1848, un prototipo della Costituzione gollista imperniata sul semipresidenzialismo. E nell'elaborare la Costituzione italiana del 1948 i suoi padri furono condizionati dal complesso del tiranno. Perciò si è insistito nel parlamentarismo, senza tuttavia quei congegni che ci avrebbero risparmiato le degenerazioni dell'assemblearismo.

Anche la Francia affonda le radici nel parlamentarismo. Pur tuttavia De Gaulle nel 1958 puntò sul semipresidenzialismo. Come oggi Zagrebelsky, allora le sinistre insorsero. Per amore di polemica, Zagrebelsky sostiene che il presidenzialismo è una forma di estremismo perché c'è uno che vince e uno che perde. Vedi caso, è quello che avviene nel Regno Unito, nella culla di una forma di governo parlamentare che si fonda sul sostanziale bipartitismo. Adesso, grazie a Zagrebelsky, scopriamo che la perfida Albione si regge su un regime che fa dell'estremismo la propria bandiera. E poi Zagrebelsky demonizza il passaggio dalla democrazia «interloquente» alla democrazia «decidente». Ma quest'ultima espressione è cara a uomini di sinistra, a cominciare da Luciano Violante. Non ha senso criticare la democrazia d'investitura, nella quale si comanda a turno: la maggioranza uscita dalle urne e domani l'opposizione se vincerà le elezioni.

Su due cose Zagrebelsky ha ragione. Nei regimi semipresidenziali il capo dello Stato è organo governante. Perciò non è più garante come la Corte costituzionale. E la sfiducia costruttiva è tipica dell'assemblearismo. Tuttavia il semipresidenzialismo sarebbe compensato da più forti autonomie.

Resta il fatto che il semipresidenzialismo favorisce il bipolarismo, mentre il regime parlamentare si adagia sul sistema dei partiti e ne è influenzato. Di qui l'alternativa: l'Italia o si divide con raziocinio in due o va in mille pezzi.

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