Geni al cinema, sconfitti nella vita. Restiamo sempre scioccati quando, con frequenza crescente, apprendiamo della morte disperata di qualche grande artista del cinema mondiale. È accaduto ieri per il suicidio di Robin Williams, il travolgente protagonista de L'attimo fuggente , Good Morning Vietnam , La leggenda del re pescatore , Will Hunting - Genio Ribelle solo per citarne alcuni, film che negli anni hanno entusiasmato centinaia di milioni di spettatori, trovato senza vita nella sua villa vicino a San Francisco. Era accaduto qualche mese fa anche per Philippe Seymour Hoffman, morto per un'overdose di stupefacenti nella sua casa di Manhattan, anche lui al culmine di una carriera coronata da successo, premi e riconoscimenti internazionali che, come Williams qualche anno prima, l'avevano consacrato tra i migliori interpreti della scena cinematografica e teatrale del pianeta. Restiamo sempre stupefatti quando veniamo raggiunti dalla notizia di queste morti intrise di dolore e di sofferenza esistenziale, incapaci di comprendere fino in fondo lo stridore e la discrepanza che contengono. Ma come, pensiamo d'istinto nella nostra spannometrica filosofia, sono persone privilegiate, che vivono in un mondo dorato, di successo, denaro, belle donne, gloria universale, e si autodistruggono nell'alcol e nelle droghe o, afflitti dalla depressione, decidono di finirsi, incapaci di stare al passo con la vita. La loro, peraltro, è baciata dalla grazia, dai doni della natura, il talento e l'intelligenza e la cultura che li hanno resi carismatici, leader di generazioni di colleghi come lo era Hoffman quando calcava i set stregando l'intero cast col suo perfezionismo, e di schiere infinite di spettatori, come lo è stato Williams, vero funambolo della recitazione come testimonia la sua sconfinata filmografia. Dunque?
In Somewhere , il film premiato a Venezia nel 2010 con il Leone d'oro dalla giuria presieduta da Quentin Tarantino, Sofia Coppola ha narrato in modo esemplare lo stridore che attraversa nel profondo il mondo del cinema. È ambientato al Chateau Marmont, l'hotel di superlusso sul Sunset boulevard di Los Angeles, teatro dei giorni e delle notti agitate di tante star hollywoodiane. In una di queste, vissuta in compagnia dello stesso Robin Williams (oltre che di De Niro e Nicholson), trovò la morte per overdose John Belushi. Nel film della Coppola, un attore al vertice della popolarità cambia la sua vita dissoluta quando si trova a dover fare i conti con una figlia adolescente. Nella vita reale di Williams non sono bastati tre matrimoni e numerosi figli ad aiutarlo a vincere il mal di vivere. La dipendenza dalla cocaina e dall'alcol combinata col disturbo bipolare lo hanno sempre ricacciato nell'afflizione. Ma guardando più in generale alla storia di Hollywood e alle sue tante morti disperate, è come se, pur possedendo tutto ma non il senso di questo tutto, a cominciare dal dono di cui la natura li ha fatti oggetto, questi artisti rimanessero alfine possessori di niente. Vuoti.
Nel caso di Williams la tragedia è ancora più struggente se si pensa ai tanti ruoli positivi interpretati nella sua carriera. Dalla finta tata di Mrs. Doubtfire al medico-pagliaccio di Patch Adams , dal clochard visionario de La leggenda del re pescatore fino al professor John Keating che ne L'attimo fuggente di Peter Weir, esorta i suoi allievi a cogliere «la rosa quand'è il momento, perché ognuno di noi un giorno smetterà di respirare», dando vita alla «Setta dei poeti estinti». Troppo idealista per l'epoca, quel professore verrà cacciato dal bigotto collegio del Vermont.
Ma gli alunni comprenderanno il significato delle sue lezioni e gliene daranno prova salendo sui banchi al momento dell'addio per pronunciare il memorabile «O Capitano! Mio capitano!». Peccato che, Capitano dei suoi studenti, Robin Williams non abbia saputo esserlo di se stesso. Lasciando che la sua vita fuggisse troppo in fretta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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