«Nessuno ha intenzione di chiedere di entrare nel Ppe, a meno che il Ppe non cambi la sua leadership e la sua linea». La compagine leghista a Strasburgo è compatta nell'escludere l'addio al Gruppo Identità e Democrazia. «Non ci sono le condizioni, almeno oggi», ripetono gli europarlamentari. E una nota di Marco Campomenosi, capo delegazione Lega al Parlamento europeo e Marco Zanni, presidente del gruppo ID, mette nero su bianco la posizione del Carroccio in vista della riunione prevista per oggi. «Quella in programma è la classica riunione di delegazione che si tiene regolarmente per preparare i lavori delle commissioni e della sessione plenaria, all'ordine del giorno non c'è nessuna questione relativa al posizionamento della Lega in Ue».
Naturalmente questo non significa che non sia in corso una riflessione sull'argomento e non si stia ragionando su come ammorbidire la percezione della Lega come partito anti-europeista. Giancarlo Giorgetti (fotina in alto) ha più volte indicato quella via come prospettiva futura. A Mezz'ora in più su Rai3 disse che non se la sentiva di escludere a priori la futura adesione al Ppe. «Con la Csu bavarese, ad esempio, ci sono molti elementi di consonanza». Raffaele Volpi (fotina in basso), invece, in un'intervista alla Fondazione De Gasperi riportata da Francesco Bechis su Formiche, ha spiegato che «non si può essere democristiani perché non esiste più la Dc, ma si può essere popolari in qualsiasi partito». E sul Ppe: «Forse bisogna nuovamente considerare quali sono gli spazi comuni».
La lista dei possibilità, insomma, è ristretta. Nel Carroccio il ragionamento è semplice: le decisioni in sede europea vengono prese dal Ppe e dal Gruppo dei Socialisti e Democratici, con la cooperazione di Renew Europe ovvero i liberali. Se si vuole sedere ai tavoli che contano e stare in Europa da protagonisti bisogna guardare in quella direzione.
Alle condizioni attuali, però, un avvicinamento è impossibile. «Io ho chiesto il voto degli italiani per cambiare l'Europa e vado a cambiarla con la Merkel? La vedo difficile», diceva pochi giorni fa Matteo Salvini ospite del salotto televisivo di Barbara D'Urso. Quali sarebbero le «mutate condizioni»? La vittoria di Friedrich Merz, uomo d'affari di stampo conservatore, al congresso della Cdu. Oppure l'elezione di Manfred Weber, secondo il principio della staffetta, come presidente del Parlamento europeo al posto di David Sassoli. Bisogna, però, anche considerare il «processo» a cui il Ppe sottoporrebbe la Lega. Il precedente storico è quello di Fi.
Anche gli azzurri agli inizi, pensarono a una collocazione autonoma, fuori dalle grandi famiglie. Poi iniziò il percorso di avvicinamento, ostacolato dagli ex democristiani italiani schierati a sinistra. Con l'adesione al Ppe del giugno 98, Silvio Berlusconi potè dispiegare la sua azione di governo trovando il dovuto ascolto in Europa. Lo stesso Berlusconi che oggi consiglia a Salvini di ripercorrere la sua strada. Il presidente uscente del Consiglio europeo, Donald Tusk, appena eletto alla presidenza del Ppe nel novembre 2019 chiuse la porta all'ipotesi di ingresso della Lega o di collaborazione con Matteo Salvini. «Io ho una grande immaginazione, ma ci sono dei limiti».
I 29 europarlamentari della Lega, però, fanno gola a molti e, sussurrano a Bruxelles, se il Ppe ha trovato il modo di convivere con Viktor Orban quando matureranno le condizioni troverà un punto di incontro anche con Salvini.
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