Che Vladimir Putin si «ricandidi» alla presidenza della Federazione Russa è una non-notizia. Ma lo ha annunciato ieri lui stesso, e quindi il carrozzone del voto si metterà in movimento. Tuttavia, solo persone molto disinformate o molto in malafede possono credere che quelle del prossimo 15-17 marzo saranno elezioni vere: perfino la presidente della commissione elettorale Ella Pamfilova, qualche mese fa, si era sentita in dovere di spiegare con assoluta sfacciataggine (e il portavoce del Cremlino aveva concordato senza problemi) che in Russia non c'è bisogno di baloccarsi con modalità in stile occidentale quando si ha la fortuna di avere un leader che gode di una popolarità «intorno al 90 per cento».
«Modalità occidentali» significa candidati sullo stesso piano, campagna elettorale libera, media indipendenti, credibilità dello spoglio delle schede, nessuna persecuzione degli oppositori politici di un leader che detiene il potere da ormai 24 anni e che lo ha via via trasformato in un'autocrazia guerrafondaia: in Russia non c'è più nulla di tutto questo. I candidati dell'opposizione vera come Aleksei Navalny sono in galera, quelli dell'opposizione finta sono scelti con cura per dare ai benpensanti occidentali e a un pubblico russo scientemente disinformato l'illusione di una normale competizione elettorale che in realtà non c'è, le tv libere sono state liquidate da vent'anni e gli ultimi giornali indipendenti come Novaya Gazeta e Moscow Times costretti a spostare le redazioni all'estero, i brogli sono ormai una regola. Il 17 marzo dev'essere proclamato presidente Vladimir Putin per la quinta volta, e così sarà.
L'annuncio di Putin contiene messaggi sottesi. Il presidente ha dichiarato «capisco di non avere altra scelta che ricandidarmi» rispondendo a una domanda imbeccata in perfetto stile sovietico e prontamente ripresa in televisione rivoltagli da un tenente colonnello di Donetsk, uno dei territori ucraini occupati dai russi: «Al fronte sono tutti preoccupati e chiedono se si ricandiderà». La candidatura viene dunque presentata come richiesta dei combattenti in Ucraina e conferma che il suo regime personale si regge sulla continuazione della guerra, che deve continuare per alimentare un patriottismo inculcato con crescente insistenza fin dalle scuole materne: la rielezione di Putin è un referendum sulla guerra.
Interessanti sono pure le forme della residua opposizione in Russia. L'organizzazione politica di Navalny è stata messa fuorilegge per «estremismo» e il suo leader è ormai da quasi tre anni in carcere con la prospettiva di non uscirne mai, eppure è stato diffuso un appello a impegnarsi per convincere più gente possibile a votare «qualsiasi candidato contro Putin» pur sapendo che la vittoria è impossibile. Attivisti coraggiosi sono perfino riusciti ad affiggere manifesti con un qr code per accedere al programma di «Russia senza Putin», rapidamente fatti sparire dalla polizia.
Poi c'è il movimento dei familiari dei coscritti al fronte, che promette una campagna in tutto il Paese per ottenerne da Putin il ritorno a casa. Fonti militari hanno ingiunto di smettere subito o a pagare saranno proprio i loro cari con «condizioni più difficili»: in pratica, saranno mandati a morte certa.
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