La rabbia delle imprese vicine al crac. "Chiudere? Diano ristori tedeschi"

Ristoratori e centri commerciali: "Disposti al lockdown in stile Merkel se arrivano indennizzi come in Germania"

La rabbia delle imprese vicine al crac. "Chiudere? Diano ristori tedeschi"

La salute innanzitutto ma, in caso di nuovi lockdown, occorrono ristori veri o il rischio è la strage di lavoro e aziende. È l'allarme lanciato dalle associazioni delle categoriapiù penalizzate in caso di nuovi stop e disposte a rivedere i protocolli di sicurezza oltreché a chiudere le serrande, purché venga meno l'incertezza e, soprattutto, si provveda tempestivamente a indennizzi reali.

«Il sistema di chiusure e aperture prospettate è al limite della schizofrenia e lascia le imprese, nell'assoluta incertezza del futuro, con evidente difficoltà nella programmazione degli investimenti. Ancora di più per quanto riguarda le oltre 94mila piccole e medie aziende che rappresentiamo a livello nazionale in Confapi in molti casi legate ai settori più colpiti: dal commercio, all'ospitalità fino ai traporti», sostiene Nicola Spadafora, presidente di Confapi Milano. Un nuovo lockdown, a giudizio di Spadafora, «metterebbe definitivamente in ginocchio comparti già in difficoltà dopo la chiusura della scorsa primavera e, in ultimo, potrebbe portare al collasso del sistema produttivo e alla perdita di milioni di posti di lavoro. Per questo abbiamo bisogno di far proseguire le attività anche, eventualmente, prevedendo un inasprimento dei controlli e a un irrigidimento dei protocolli di sicurezza qualora dovesse servire», ribadisce il presidente di Confapi Milano che sottolinea poi come le aziende abbiano investito nei protocolli di sicurezza decisi a livello centrale. A differenza della Germania, a giudizio di Spadafora, l'Italia non ha capacità finanziaria per garantire ristori reali che permettano alle imprese di sopravvivere fino alla ripresa.

Su questo fronte è chiaro anche Paolo Zabeo, coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia-Associazione artigiani e piccole imprese: «Se si deve chiudere si chiude. Ma occorre iniziare a parlare di rimborsi che coprano i costi fissi e i mancati incassi, non più semplici ristori». Secondo uno studio dell'associazione, i contributi a fondo perduto agli esercenti hanno coperto in media solo il 25% delle perdite di fatturato. «Si consideri in merito che l'Ue permette di coprire fino al 90% i costi fissi delle pmi che abbiano subito il crollo di almeno un terzo delle vendite», sostiene l'esperto. A giudizio di Zabeo per far fronte all'emergenza, l'Italia non può far altro che indebitarsi. O a fine dicembre si rischia la chiusura di 350mila pmi e un milione di posti di lavoro in meno.

«Sarebbe meglio chiudere, a fronte però di ristori tedeschi (indennizzo al 75% del fatturato dello scorso anno, riduzione dell'iva al 5% e tutala dagli sfratti), piuttosto che continuare in questa agonia di colori e decreti. Il nostro è un sistema fragilissimo fatto di piccole realtà familiari chiuse da settimane, senza visibilità sui prossimi giorni, in difficoltà a programmare», commenta Aldo Cursano, vicepresidente del Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), che rappresenta 340mila imprese con 1,3 milioni di addetti. «I ristori erogati non bastano neppure a coprire i costi fissi che per un ristorante medio in centro città e con cinque addetti toccano i 25mila euro mensili», spiega, per poi concludere: «Lo Stato non può continuare a prendere provvedimenti senza misurarne impatto economico e sociale». «Se il governo deciderà di seguire il modello tedesco si prepari a farlo al 100%: solo dicembre vale 7,9 miliardi per il mondo della ristorazione», sostiene Fipe.

Quanto ai centri commerciali «se ci fosse un lockdown totale, supportato da chiari e trasparenti dati scientifici, la nostra associazione si

adeguerebbe» afferma Roberto Zoia, presidente del Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali per poi concludere: «La protesta invece continuerà fino a che ci sarà disparità di trattamento e provvedimenti che ci discriminano».

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