Raffica di perquisizioni. Ma degli archivi del boss ancora nessuna traccia

Scandagliate le case di Messina Denaro e dei complici. "I documenti scottanti sono altrove"

Raffica di perquisizioni. Ma degli archivi del boss ancora nessuna traccia

Ragusa. Perquisizioni a Campobello di Mazara e a Mazara del Vallo. Nel mirino dei carabinieri del Ros i covi e le case in cui ha vissuto parte degli ultimi due anni di latitanza il boss dei boss Matteo Messina Denaro arrestato il 16 gennaio all'interno della clinica «La Maddalena» di Palermo in cui veniva sottoposto a sedute di chemioterapia e ci sono perquisizioni anche nella casa di presunti fiancheggiatori. Come in quella dell'ex avvocato Antonio Messina, a Campobello di Mazara, tra via Scuderi e via Selinunte, di fronte alla casa di Salvatore Messina Denaro, fratello del boss. Quest'ultima potrebbe essere ripresa da telecamere. L'abitazione del legale era già stata controllata il giorno dell'arresto. Setacciata pure la casa estiva dell'ex avvocato a Torretta Granitola, sul litorale di Mazara del Vallo. Si ritiene che siano state nella disponibilità del padrino. L'uomo, 77 anni, massone, nel 2019 finì ai domiciliari. In un'intercettazione mentre parlava con Giuseppe Fidanzati, figlio di Gaetano, boss dell'Acquasanta, raccontava di un incontro con «Iddu» (lui) anche se non è chiaro se si riferisse a Matteo Messina Denaro o a Francesco Guttadauro, nipote del boss. In passato fu condannato per traffico di droga e subì un processo, ma fu scagionato, quale mandante dell'omicidio del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto, delitto per il quale furono condannati all'ergastolo Totò Riina e Mariano Agate, mentre Mariano Asaro ebbe l'ergastolo come esecutore materiale.

Reparti speciali dei carabinieri all'opera anche in via G. Galilei a Campobello di Mazara. In questo paesino il padrino si muoveva indisturbato da un immobile all'altro, tutti vicini tra loro, in zone che hanno una via di fuga, grazie a una fitta rete di fiancheggiatori. Si cercano l'archivio di Totò Riina, ereditato dal suo rampollo, l'agenda rossa del giudice Paolo Borsellino, sottratta nei momenti concitati dopo la strage di via D'Amelio, che potrebbe svelare quello che il giudice Falcone chiamava «il terzo livello», fatto di gente delle istituzioni e che riveste o ha rivestito ruoli importanti. Ma probabilmente questi documenti sono al sicuro altrove. In mano a insospettabili. «Non credo proprio che li troveremo dice una fonte del Giornale sul campo -. Ma la documentazione rinvenuta servirà a ricostruire parte della lunga latitanza, in particolare la rete di protezione che va dalla manovalanza, ovvero coloro che ogni giorno nelle città impinguano i conti di Cosa nostra con estorsioni, pizzo, droga, ecc., per arrivare agli uomini più vicini a Messina Denaro, che gli hanno garantito gli spostamenti, una vita normale, tra documenti di identità, acquisto di immobili, ecc., per finire alle coperture e ai favoreggiamenti importanti, quelli della gente «che conta», seduta nei palazzi, negli uffici pubblici o istituzionali, persino gente che indossa e infama una divisa». Gli investigatori sono al lavoro per decifrare il contenuto di un'agenda con nomi e sigle rivenuta in un pouff nella casa di Vico San Vito, dove l'ultimo stragista del '92 e '93 ha vissuto dal giugno 2021. Una casa bene ammobiliata, abbellita con stampe del film Il Padrino e di Joker, con la scritta «C'è sempre una via d'uscita, ma se non la trovi sfonda tutto». La casa è stata scandagliata con un geo radar per individuare intercapedini. L'ha comprata coi soldi del boss il prestanome Andrea Bonafede, indagato a piede libero. È stato lui a fare entrare i reparti speciali nell'appartamento intestato alla madre, tra via Marsala e via Cusmano, disabitato ma ammobiliato.

«Eravamo certi che la casa fosse di Messina Denaro dice una fonte . Per questo è stata sequestrata». Ancora lui aveva in affitto per 250 euro mensili la casa di via San Giovanni, perquisita giovedì ritenuta in disponibilità del boss.

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