
Le due ore di «utopia europeista» sono costate all'incirca un milione di euro. È il budget messo a disposizione dalla Rai a Roberto Benigni per portare in scena il suo «Sogno», la lectio magistralis sull'elogio dell'unità europea e la condanna dei nazionalismi portatori di odio. Un introito andato quasi per intero alla Melampo, la casa di produzione che appartiene a Benigni stesso e alla moglie Nicoletta Braschi. Al milione bisogna, infatti, sottrarre solo i costi minimi delle riprese avvenute nel teatro 9 degli Studi De Paolis, dove l'attore si è esibito in una scenografia praticamente inesistente, un palco vuoto e uno sfondo arancione. E dove, con la sola potenza della parola e del ragionamento, senza immagini, senza aiuti del gobbo, ha portato avanti per due ore l'accalorato e infervorato discorso da «estremista europeista», come si è definito. Non una cifra irragionevole, quella pagata dalla Rai, considerando che si tratta di un evento unico e in linea con il costo naturale per un premio Oscar riconosciuto a livello mondiale (e, tra l'altro, non moltissimo di più rispetto ai grandi show del sabato sera). Il risultato di ascolto, invece, non è quello a cui ci ha abituati l'attore nei decenni precedenti. «Il sogno» l'altra sera ha tenuto incollati allo schermo quasi 4.400.000 spettatori per il 28% di share, stravincendo la serata rispetto agli altri canali. Non poco, ma neanche un boom. Certo non è facile catturare pubblico con un lunghissimo excursus sulla creazione dell'Europa (e senza le incursioni ironiche e leggere che sono state la cifra di altri suoi show), ma l'interpretazione della Costituzione nel 2012 arrivò a 12 milioni 620 mila spettatori per uno share del 43.9%. Nel 2010 «I dieci comandamenti», in due serate, arrivarono a 9 e 10 milioni con share del 32% e 38% per non parlare dei risultati clamorosi della lettura dei canti della Divina Commedia («L'ultimo del Paradiso» arrivò al 45%). Anche se, bisogna dirlo, erano altre epoche televisive difficilmente confrontabili con lo spezzatino televisivo di oggi.
In ogni caso, l'eco di questa serata rimarrà a lungo. Soprattutto per l'incredibile coincidenza della «lezione» di Benigni sul manifesto di Ventotene tenuta poche ore dopo la bagarre scatenata in Parlamento sulle parole della presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ha letto alcune parti del testo scritto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi («Non so se questa è la vostra Europa ma certamente non è la mia», ha detto la premier scatenando la reazioni furibonda delle opposizioni). Così, di primo impatto, il riferimento al Manifesto era quasi sembrato una aggiunta dell'ultimo momento, una risposta alla Meloni e agli euroscettici (comunque «benedetta» da gran parte delle forze di opposizione). Ma, assicurano i produttori dello show, il lungo excursus sulla nascita, il significato di quella carta era stato già preparato da tempo come tutto il testo raccontato dall'attore. Anzi, una preparazione certosina che va avanti da otto mesi. Del resto, mica si può improvvisare un intervento così approfondito, tremila anni di storia, passando dalla Magna
Carta alla Rivoluzione francese a Ventotene, fino all'Erasmus e all'appello per la creazione di un esercito comune europeo, con quella lucidità e quel ritmo narrativo.
E, per cui, Benigni è stato aiutato da nomi importanti: i testi sono stati scritti insieme a Michele Ballerin e Stefano Andreoli, la regia è stata di Stefano Vicario e le musiche, con la marcia iniziale, del premio Oscar Nicola Piovani. L'appuntamento è stato trasmesso, oltre che su Raiuno, anche in Eurovisione. Su quella Rai, governata dalla destra, che è stata involontaria «complice» di una risposta immediata alle invettive della premier di destra.
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