Il rebus dei beni congelati. Quei 300 miliardi russi che l'Ue sogna di dare a Kiev

I fondi sono fermi in banche occidentali. Il precedente da evitare e il rischio ricorsi

Il rebus dei beni congelati. Quei 300 miliardi russi che l'Ue sogna di dare a Kiev
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È un po' come avere un conto corrente bloccato proprio quando hai un disperato bisogno di soldi. Sono lì, potresti prenderli e usarli, sono a portata di mano. Ma puoi soltanto guardarli e sognare come spenderli. Si tratta dei 300 miliardi di dollari di beni russi congelati che l'Europa da tempo dice, spera e conta di poter trasferire all'Ucraina per finanziare la difesa dall'aggressione russa e magari iniziare a pianificare la ricostruzione post-bellica. Se ne parla da tempo, se ne torna a parlare dopo il possibile disimpegno americano. Ma non è affatto semplice per questioni legali, tecniche e anche scelte politiche forti che sembrano essere tenute come ultima ratio in caso di emergenza.

Questi benedetti 300 miliardi di dollari altro non sono che riserve monetarie che la Banca centrale russa detiene in banche occidentali e che sono state congelate a partire dal febbraio del 2022, dopo l'inizio della guerra. La maggior parte, 200 miliardi, si trovano in Europa, il resto principalmente tra Regno Unito, Stati Uniti e Giappone e in misura minore altri Paesi. Un bel gruzzoletto che potrebbe fare la differenza per Kiev. Perché allora non vengono sbloccati e utilizzati? La spiegazione, in parte, arriva da un Paese in prima fila nelle operazioni contro la Russia, la Francia. Il ministro dell'Economia Eric Lombard spiega infatti che «utilizzare i beni russi congelati per finanziare spese militari europee sarebbe contrario agli accordi internazionali. Non possono essere beni che vengono sequestrati, sarebbe contrario agli accordi internazionali sottoscritti da Francia e Europa». Vero, ma solo in parte.

Di certo c'è che procedere su questa strada non è facile. Questi fondi non possono essere utilizzati da Mosca ma restano tecnicamente comunque di proprietà russa. Confiscarli sarebbe un precedente che esporrebbe l'Europa a una pioggia di ricorsi, alcuni portati avanti da singoli soggetti come diversi oligarchi, sono stati già accettati perché non dimostrati i legami diretti con il regime di Putin. Inoltre molti investitori stranieri sarebbero scoraggiati dal fare operazioni con fondi che, potenzialmente, potrebbe sparire dalla loro disponibilità. Più facile, e già fatto, utilizzare i soli interessi maturati in questo periodo, per cui le contestazioni potrebbero essere relative. È stato fatto anche un passo in più, ovvero utilizzare come prestito a garanzia 50 miliardi di interessi futuri, operazione figlia di uno studio articolato e complesso da parte dei burocrati di Bruxelles per evitare ogni rischio.

Anche per questo la riunione dei leader europei di domani potrebbe essere decisiva.

Tra chi vuole forzare la mano, sfidare i ricorsi e fare la differenza per l'Ucraina punendo la Russia e chi, vedi Ungheria e Slovacchia, da sempre vicine a Putin e quindi di traverso. Non è e non sarà facile. Ma avere a portata senza poterli usare quei 300 miliardi che potrebbero fare la differenza, stuzzica non poco l'Europa.

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