Il rebus delle pensioni per il nuovo governo. Spunta "Opzione Tutti"

Le risorse sono limitate: allo studio l'ipotesi di uscite flessibili ma con il contributivo

Il rebus delle pensioni per il nuovo governo. Spunta "Opzione Tutti"

L'avvicinarsi del nuovo anno pone al prossimo governo di centrodestra un tema ineludibile che ha campeggiato durante la campagna elettorale: la riforma del sistema pensionistico. Il 31 dicembre, infatti, scadrà Quota 102 che quest'anno ha consentito di ritirarsi ai lavoratori con almeno 64 anni di età e 38 anni di anzianità contributiva, un modo per rendere meno drammatica l'uscita da Quota 100, non più prorogabile per i suoi costi non proprio light (circa 23 miliardi al 2025 secondo l'Upb).

Il centrodestra si è presentato alle elezioni con un programma elettorale fortemente orientato a un ritocco della legge Fornero che, sic stantibus rebus, potrebbe ritornare in vigore a esplicare pienamente i propri effetti dal primo gennaio. Da inizio 2023, pertanto, si pensionerà solo chi ha raggiunto i 67 anni di età con 20 di contributi o chi ha totalizzato 42 anni e 10 mesi di anzianità (41 anni e 10 mesi per le donne).

Il programma unitario prevede l'innalzamento delle pensioni minime e la flessibilizzazione delle uscite. Nello specifico è la Lega ad aver fatto di Quota 41 (uscita automatica per tutti coloro che hanno 41 anni di contribuzione) la propria bandiera insieme ai sindacati. Il Carroccio, inoltre, punta a garantire alle donne l'uscita a 63 anni con 20 di contributi e un anticipo di un anno per ogni figlio. Se Fi è più concentrata sull'innalzamento dei minimi, Fdi punta a rinnovare «Opzione Donna» (uscita a 58 anni per le dipendenti e 59 per le autonome con 35 anni di contributi e ricalcolo interamente contributivo) e a fermare l'adeguamento automatico dell'età pensionabile all'aspettativa di vita, fermata dalla Lega nel Conte I ma fino al 2026.

Tener fede ai programmi, però, ha un costo che si quantifica in base alle scelte effettuate. Il dato di partenza non è di buon auspicio. La Nadef ha stimato in 297,4 miliardi di euro (il 15,7% del Pil) la spesa pensionistica 2022 che l'anno anno prossimo aumenterà di 24 miliardi per effetto delle indicizzazioni all'inflazione decise dal dl Aiuti del governo Draghi. Nel 2025 il capitolo dovrebbe cifrare 349,8 miliardi, 100 miliardi in più del 2012, ossia proprio l'anno in cui partì la riforma Fornero.

Il tempo per la stesura della legge di Bilancio è molto stretto e le disponibilità limitate considerato che, quand'anche emergesse il «tesoretto» da 20 miliardi complessivi tra 2022 e 2023), gli aiuti contro il caro-bollette impegnerebbero gran parte di questa cifra. Ecco, quindi, che secondo alcune indiscrezioni (riportate da Repubblica) il centrodestra starebbe valutando anche l'ipotesi «Opzione Tutti» messa in campo da Mario Draghi nel primo confronto con i sindacati di novembre 2021. Il funzionamento è semplice: si può uscire a 58 o 59 anni di età accettando che il montante sia interamente ricalcolato con il sistema contributivo eliminando, se presente, la parte contributiva maturata prima del 1996. Le penalizzazioni, come nel caso di «Opzione Donna», sono pesanti e, seconda dell'anno di pensionamento, possono raggiungere anche il 30% dell'assegno previsto. Una simulazione estrema perché per 63enni o 64enni con almeno 35 anni di contributi la penalizzazione si installa in nel range 15-20 per cento.

Anche se il costo di «Opzione Tutti» supera di poco il miliardo annuo, la soluzione non è mai piaciuta ai sindacati. E richiede comunque una concertazione in sede di maggioranza.

«Come governo ci sarà un intervento immediato per mettere fine all'iniqua legge Fornero con Quota 41, oltre alle possibili forme di uscita anticipata», spiega Claudio Durigon, responsabile previdenza della Lega. Fratelli d'Italia, invece, ricorda che è impegnata a «favorire meccanismi volontari di flessibilità in uscita sul modello di Opzione Donna» ma che le modalità non sono ancora specificate.

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