Il Recovery plan versione italiana, cioè il documento che spiega come spendere i 209 miliardi di Eu Next generation, consiste al momento in una bozza delle «Linee guida per la definizione del piano nazionale di ripresa e resilienza». Oggi saranno illustrati al Comitato interministeriale per gli Affari europei. Dentro ci sono principi molto generali, ma anche obiettivi ambiziosi, come quello di raddoppiare il tasso di crescita dell'Italia portandolo in linea con la media Ue all'1,6%, fare crescere il tasso di occupazione di 10 punti percentuali, arrivando al 73,2% della media Ue. Orizzonte di «lungo termine», senza una scadenza precisa.
Nella parte delle linee guida dedicata alle riforme spunta anche la modifica dell'Irpef in chiave progressiva. Sulla quale, peraltro, non c'è ancora intesa nella maggioranza. Si parla di «riduzione strutturale del cuneo fiscale sul lavoro tramite una riforma dell'Irpef in chiave progressiva» da attuare con una legge delega entro fine 2020 e i decreti attuativi entro il 2021. Il piano della famiglia, da integrare con la riforma dell'imposta sui redditi.
Spunta anche una revisione degli ammortizzatori sociali in «chiave perequativa» all'interno di una legge delega di riforma del lavoro entro aprile 2021. Formula che lascia spazio a varie interpretazioni, diversa da quella utilizzata dal ministro al Lavoro, Nunzia Catalfo, cioè di un sistema di ammortizzatori «unificato».
Il rischio insomma è che l'Italia arrivi in ritardo su un piano che ha già tempi lunghi, poco compatibili con l'emergenza post coronavirus, man mano che dalle enunciazioni generali si passerà alle misure concrete. Secondo il governo non c'è un rinvio a gennaio del piano italiano. I tempi sono quelli dettati dall'Europa, ha assicurato ieri il viceministro dell'Economia Antonio Misiani. «Entro l'autunno - ha spiegato - avremo il quadro di quello che vogliamo fare con i 209 miliardi».
In realtà, un problema politico c'è. Così come sulla riforma fiscale, anche sul Recovery fund la maggioranza si sta ribellando al governo. Ieri sono stati i senatori del Pd a chiedere al ministro agli Affari Europei Enzo Amendola di «parlamentarizzare» la gestione del piano. Mal di pancia anche nel M5s. Poi quelli dichiarati di Matteo Renzi. Gualtieri ha assicurato che ci sarà un «confronto approfondito con il Parlamento».
Ma sul Recovery c'è anche il pressing dei singoli ministeri, che hanno inviato al comitato interministeriale circa 600 proposte. Solo quelle del dicastero per lo Sviluppo economico valgono più di 150 miliardi. Abbastanza da impegnare tutti i sussidi del Next generation Ue e buona parte dei prestiti.
Poi ci sono le Regioni e i Comuni, che ieri hanno incontrato Amendola, ma non hanno ancora capito se avranno voce in capitolo.
Uno scenario da assalto alla diligenza che non piace all'Ue. Anche ieri il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni ha chiesto piani nazionali «di qualità».
Poi ha ricordato che la sospensione del Patto di stabilità non è eterna. Presto torneranno in vigore limiti su deficit e debito. Serviranno conti in ordine e una crescita come quella prevista dalla bozza. Forse con un eccesso di ottimismo.
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