Referendum, ansia quorum senza la spinta dei temi etici

I quesiti su eutanasia e cannabis avrebbero aiutato l'affluenza. E Salvini adesso conta sull'election day

Referendum, ansia quorum senza la spinta dei temi etici

Cinque su sei. Suona come una vittoria il numero di quesiti referendari sulla giustizia ammessi dalla Consulta. E se la notizia è salutata con un mix di gioia e amarezza da chi, come i Radicali, ha dovuto incassare anche i «no» su cannabis legale ed eutanasia, il «co-promotore» Matteo Salvini dovrebbe esserne lieto, visto che i due quesiti bocciati non lo vedevano certo in trincea con i Radicali. Infatti ha subito rivendicato come un successo il sì sulla cinquina sulla giustizia.

Non è un caso, però, che il leader del Carroccio si sia detto «dispiaciuto» dal no al quesito sul fine vita, spiegando che «la bocciatura di un referendum non è mai una buona notizia», pur avendo poi annunciato il voto della Lega all'emendamento che mira ad affondare il ddl sul suicidio assistito. La guerra all'eutanasia, Salvini, avrebbe voluto combatterla per via referendaria. Per un'ottima ragione: il quorum.

Perché i referendum sulla giustizia siano validi, dovranno votarli 25 milioni di italiani, e il via libera non è affatto scontato. Su otto referendum abrogativi, dal 1997 a oggi, solo nel 2011, al referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento, il quorum è stato raggiunto. Non è un caso che sul fronte radicale dei promotori si sia rimarcato come, con il no ai due quesiti su cannabis ed eutanasia, siano stati «bruciati» anche i due milioni di firme raccolte. Un dato che spiega come quei due quesiti, con il loro tema centrale etico, fossero una calamita per il voto. Più immediato l'argomento di un tema caldissimo come l'eutanasia, rispetto ai cinque quesiti tecnici e specifici sulla giustizia. Più accattivante esprimersi sulla cannabis, che conta su 5-6 milioni di consumatori in Italia e su almeno altrettanti fermi oppositori, che puntare sul disamore degli italiani verso il sistema giustizia, che rischia di declinarsi più nell'indifferenza che in una corsa alle urne. Anche considerando i rischi dell'intreccio dei quesiti sulla giustizia con lo sbarco alla Camera della riforma del Csm e dell'ordinamento giudiziario. Senza quei due quesiti nel pacchetto, insomma, sarà più difficile strappare il quorum.

Lo sa bene Salvini, che oltre a caldeggiare che i comitati per il sì siano apartitici, ha proposto l'election day, accorpando il voto referendario a quello per le amministrative: la chiamata «generale» al voto aiuterebbe, anche se non è scontato che basti. Può contare sull'appoggio dei Radicali, il cui segretario Maurizio Turco si è detto ottimista, a patto che «i cittadini siano informati». E sull'election day ha raccolto il pollice su di Forza Italia, con Tajani favorevole all'ipotesi.

Più complessi i giochi con Fdi: l'unico partito rimasto all'opposizione ha assicurato che farà «campagna referendaria in maniera seria», ma Giorgia Meloni e i suoi non appoggiano due dei cinque quesiti, e dopo il voto per il Colle tra Fratelli d'Italia e il Carroccio si è aperta una vistosa distanza.

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