Il regalo della Consulta: chi commette reati lievi avrà il diritto di restare

La Corte costituzionale: niente automatismi fra illecito e rigetto del permesso di soggiorno

Il regalo della Consulta: chi commette reati lievi avrà il diritto di restare
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Liberi di lavorare, ma anche di spacciare droga e vendere merci taroccate. Lo ha deciso la nostra Corte Costituzionale spiegando, con una sentenza ispirata ai principi sanciti dalla Corte Europa sui Diritti dell'Uomo, che non è lecito negare automaticamente il rinnovo del permesso di soggiorno ai migranti condannati per la vendita di droga o di merci contraffatte. E questo perché, secondo la Corte, una condanna penale ricevuta in passato non è, in teoria, sufficiente a definire la «pericolosità attuale» di un soggetto. In pratica un altro autogol nel nome dell'accoglienza. Il tutto mentre il governo si trova ad affrontare uno dei momenti più difficili nella storia dei flussi migratori con oltre 44mila arrivi dall'inizio dell'anno e gravi riflessi sull'ordine pubblico. Ma come si è arrivati ad una decisione così autolesionista?

Per capirlo bisogna guardare da una parte ai casi di due migranti condannati per spaccio e vendita di marchi falsi e, dall'altra, alla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo a cui si è «ispirata» la Consulta emettendo il suo verdetto. Ma partiamo dai reati. Nel primo caso il permesso di lavoro era stato revocato ad un migrante fermato mentre stava vendendo una dose da un grammo e mezzo di hashish e trovato in possesso di altri 19 grammi nel corso della successiva perquisizione. Nel secondo caso la revoca interessava un «vu' comprà» pizzicato mentre vendeva dei prodotti con marchi contraffatti. La questione di Costituzionalità a quel punto era stata sollevata dal Consiglio di Stato che aveva sottoposto entrambi i casi ai giudici della Corte Costituzionale.

La sentenza, depositata ieri e firmata dalla relatrice Maria Rosaria San Giorgio, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli del Testo Unico sugli Stranieri approvato nel 1998. In base a quel testo il cosiddetto «piccolo spaccio» e la «vendita di merci contraffate» erano inseriti tra i reati che impediscono il rinnovo automatico del permesso di soggiorno per lavoro. Ma tanto per rendere ancora più ingestibile la gestione dei migranti la Consulta ha anche dettato i principi a cui dovranno ispirarsi i questori di polizia chiamati a valutare la pericolosità sociale di uno spacciatore o di un venditore di prodotti falsi. Da oggi prima di negare il permesso di lavoro ad un migrante schedato il questore dovrà soppesare le entità e le circostanze del fatto, il tempo trascorso dalla sua commissione e il livello di integrazione sociale raggiunto nel frattempo dal colpevole.

Questo - spiega la sentenza della Corte Costituzionale - al fine di evitare che la «valutazione si traduca in un giudizio astratto e, per ciò solo, lesivo dei diritti garantiti dall'articolo 8 Cedu (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ndr)».

Insomma chi vende droga, ma si fa trovare con poca roba addosso, può continuare a lavorare di giorno e arrotondare a colpi di «marija» la sera. E lo stesso vale per chi si è fatto beccare una volta, ma è poi sfuggito per molto tempo ai controlli. Ed anche aver messo su casa e famiglia, magari con i proventi di hashish e marijuana, è un segno di integrazione sociale che impone di ignorare gli eventuali reati commessi da un migrante concedendogli di continuare a soggiornare e lavorare nel nostro paese.

A dar retta alla Consulta la nuova giurisprudenza eviterà, insomma, che l'automatica cancellazione del permesso di soggiorno incida «in modo sproporzionato e irragionevole sui diritti fondamentali degli stranieri». Dimenticando e ridimensionando però, il diritto alla sicurezza della popolazione italiana.

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