I militari birmani massacrano il proprio popolo e ne calpestano le speranze da 60 anni. Fino a oggi, però, non avevano mai sbagliato un colpo. Nel 1962 il generale Ne Win, padre della «Via birmana al socialismo» prese il potere e lo tenne per 26 anni. E anche quando venne messo da parte la democrazia rimase un'illusione segnata dal terribile bagno di sangue del settembre 1988. A quel massacro seguirono altri 22 anni di dittatura e la detenzione quasi ininterrotta della signora Aung San Suu Kyi, donna-simbolo della democrazia birmana.
Il colpo di stato messo a segno il 1° febbraio dal capo di Stato Maggiore Min Aung Hlaing non sembra, invece, filare liscio come in passato. Nonostante gli oltre 4mila arresti e l'uccisione in piazza di oltre 800 dimostranti, gli oppositori non mollano il colpo. E a differenza del passato sembrano pronti a trasformare la protesta in lotta armata. L'esodo dei militanti fuggiti nelle zone controllate dai Karen e da altre minoranze etniche, pur segnando una novità, non rappresenta però una minaccia immediata. L'addestramento degli oppositori e la loro trasformazione in rodati guerriglieri richiede tempo e ingenti forniture di armi. Ma queste restano assai difficili da reperire visto il sostegno di Pechino alla giunta militare e l'alleanza d'interesse tra i generali thailandesi e i loro omologhi di Myanmar. Nella migliore ipotesi, dunque, l'alleanza tra oppositori ed etnie ribelli richiederà almeno sei mesi per dare i primi frutti.
Assai più preoccupante è invece - almeno dal punto di vista dei militari golpisti - l'ondata di misteriosi attentati susseguitisi, da un mese a questa parte, nelle città e in varie zone centrali del paese. Gli attacchi, oltre a bersagliare caserme e unità dell'aviazione impiegate nei bombardamenti dei territori ribelli, vedono l'impiego, fin qui senza precedenti, di Ied ovvero ordigni esplosivi di fabbricazione artigianale simili a quelli impiegati fin qui in Afghanistan, Irak e altre zone mediorientali. Ma chi li sta introducendo in Birmania? E da dove arrivano gli esplosivi impiegati dagli insorti?
Se un'ipotesi riguarda le attività insurrezionali dei musulmani Rohingya, infiltrati da gruppi alqaidisti o vicini allo Stato Islamico, un'altra prende in considerazione l'ipotesi di serie divisioni all'interno del regime. Nella città più importante, Yangon, alcuni capi della polizia sarebbero in aperto scontro con i generali. E anche ai vertici del Tatmadaw (l'esercito) non tutti sarebbero d'accordo con il colpo di mano del Capo di Stato Maggiore Min Aung Hlaing. Tra gli scontenti vi sarebbe anche quel generale Than Shwe che nel 2010 accettò, su pressione statunitense d'abbandonare il potere per dar vita ad un embrione di liberalizzazioni.
Uno sforzo vanificato da un colpo di stato che l' ottantenne generale non avrebbe gradito. E che l'avrebbe spinto a riattivare i contatti sotto traccia con una Casa Bianca assai preoccupata per il ritorno del Myanmar nella sfera d'influenza cinese.
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