Dottor Agostino Miozzo, dopo tante riassicurazioni, qualche assessore e pure i sindacati, hanno già detto che la scuola non si deve riaprire il 7 gennaio.
«La scuola è sicura, va controllato il contorno: come ci arrivi e cosa fai quando esci. Se si formano capannelli senza mascherina o se si va al bar in gruppo, deve scattare l'allarme. I controlli vanno fatti fuori dagli istituti e sui mezzi pubblici».
Sembra una battaglia persa.
«Invece no, bisogna continuare a lavorare per riaprire le scuole e vanno attivati controlli attorno alle strutture. Ma sia chiaro: se qualche regione vuole tenerle chiuse, deve adottare analoghi provvedimenti seri e rigorosi per tutti gli altri settori. Si deve applicare un lockdown generalizzato. Sarebbe privo di logica chiudere le scuole ma tenere aperti i centri commerciali. Se ad un adolescente è vietato andare a scuola dev'essere vietato incontrare coetanei in luoghi (pubblici o privati) ove i controlli e le precauzioni vengono meno».
Però anche lei ammette che ci sono momenti critici attorno gli istituti.
«La scuola non è fuori dai rischi. Movimenta un potenziale rischio di epidemia ma, in principio, dovrebbe essere l'ultimo settore ad essere chiuso. Invece diventa il primo anche perché alla scuola nessuno deve dare alcun indennizzo. È una situazione di comodo ma che crea danni incalcolabili».
Di che tipo?
«I ragazzi sono stanchi, demotivati, molti sono caduti in depressione, hanno sviluppato ansie, paure che richiedono supporto psicologico. Questa chiusura prolungata ha causato danni nella loro sfera psichica che valuteremo tra qualche mese, se non tra un anno».
Si chiedono sacrifici e ora che c'è il vaccino si somministra con lentezza. Che succede?
«Effettivamente mi preoccuperei se entro una settimana tutte le fiale a disposizione non fossero state somministrate. Prima che arrivi il secondo lotto, le 450 mila dosi devono essere inoculate».
La Protezione civile avrebbe dovuto essere più coinvolta nella campagna vaccinale?
«Ritengo di sì anche perché è territorialmente ben sviluppata e se venisse rapidamente attivata, anche per il prossimo futuro, potrebbe dare un grande contributo».
È un suggerimento per il commissario Arcuri?
«Io dico solo che è un vero peccato non utilizzare il sistema di protezione civile, una delle migliori risorse del Paese, con le sue migliaia di organizzazioni di volontariato e il suo sistema sviluppato nei decenni sul territorio a livello capillare».
Lei si è già vaccinato?
«Ancora no, ma vorrei farlo assieme agli altri membri del Cts che hanno un ruolo di grande visibilità e potrebbero essere di utilità nella promozione del vaccino».
Come si sono comportati gli italiani durante queste feste?
«Nel complesso la maggior parte dei concittadini hanno rispettato le regole di restrizione. C'è sempre, purtroppo, il gruppo degli idioti che va contro le regole, ma per fortuna è limitato».
Dunque non teme la terza ondata?
«Difficile da pronosticare. L'attuale rialzo dei contagi potrebbe essere il frutto degli assembramenti da acquisti del periodo pre-natalizio. Invece gli effetti delle restrizioni di fine anno possono essere visti entro la metà del mese».
Che previsioni può dare?
«La mia sensazione è che siamo in una situazione decisamente precaria. Tre regioni con Rt sopra l'1 e altre tre attorno all'1».
Che significa niente zona gialla per tutte le regioni il 6 gennaio?
«Se le condizioni lo richiedono, quelle più in bilico dovranno riprendere il loro colore di riferimento. Non si può rischiare di riaprire quando i contagi rialzano la testa».
Le Regioni chiedono di includere i test rapidi per stabilire l'indice di contagio.
«Questa richiesta non è mai arrivata al Cts. Il tampone rapido è un importante ausilio per lo screening ma al momento non è utilizzabile in alternativa al molecolare».
Dunque, è un no?
«Secondo la norma vigente la positività è certificata solo con il tampone molecolare. Se si cambiano le regole va cambiata la norma di indirizzo del ministero della Salute».
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