«Responsabilità e nervi saldi. Il momento è importante e io voglio far bene perché in questo governo sono io che ci metto la faccia. Abbiamo un peso enorme sulle spalle, ma vi assicuro che ci metteremo il massimo dell'impegno». Giorgia Meloni riunisce lo stato maggiore di Fratelli d'Italia nel quartier generale di via della Scrofa per fare il punto sul nuovo esecutivo. E mette subito le cose in chiaro. La sfida di Palazzo Chigi è la partita della vita, oltre che un momento cruciale per la tenuta del Paese («La fase forse più difficile della storia repubblicana») e da parte sua non c'è alcuna intenzione di mettere in squadra persone che non siano più che all'altezza. Un messaggio diretto al proprio partito, una sorta di «lodo Meloni», per far comprendere preventivamente che tutti dovranno sacrificare qualche ambizione personale.
Ma anche una indicazione di metodo indirizzata agli alleati perché ognuno potrà avanzare le proprie proposte, ma poi toccherà a lei tirare le somme e decidere. Insomma o nomi di alto profilo - anche politici - dotati di competenze e capacità riconosciute nel proprio campo oppure si percorreranno altre strade, senza ricorrere al Cencelli o al bilancino.
«Se in un dicastero l'alleanza di centrodestra non ha un nome all'altezza da proporre, non vedo nessun problema a ricorrere ai tecnici». Ma questa circostanza «non sarà certo un limite», né una messa in discussione della «natura fortemente politica del governo, perché i governi sono politici quando hanno un mandato popolare, un programma definito, una visione chiara e una guida politica». Di certo il governo «porterà avanti politiche in discontinuità rispetto a quelle degli esecutivi a trazione Pd. E per farlo serve il Consiglio dei ministri più autorevole e di alto profilo. Questo significa che non sarà composto per risolvere beghe interne di partito o proponendo nomi per rendite di posizione». Anche perché «siamo nel mezzo di un conflitto, i cui contorni sembrano irrigidirsi ancora di più; restano incognite sul tema della pandemia; viviamo una crisi economica e energetica che sembra destinata a provocare un effetto domino sui prezzi delle materie prime e dei prodotti alimentari».
Lo stato della trattativa da quello che trapela resta «fluida». Il pressing su Fabio Panetta, membro del board della Bce, per il ministero dell'Economia per ora non ha prodotto risultati, ma la partita non è chiusa. Così come si pensa a Guido Rasi, già direttore esecutivo dell'Ema e direttore generale dell'Aifa (Agenzia italiana del farmaco) per la Salute. Giorgia Meloni, invece, rassicura sui rapporti con gli alleati. «Non date retta ai retroscena, sto dialogando con tutti, alla fine troveremo la soluzione. Con Matteo Salvini e Antonio Tajani l'interlocuzione e il confronto sono continui e positivi». Certo, fa notare, è curioso sentir dire da chi ieri ci accusava di essere «un pericolo per l'Italia e l'Europa che siamo diventati draghiani o normalizzati. Letture, come al solito, distorte da parte di chi non si rassegna alla nostra vittoria». La presidente di Fratelli d'Italia si concede, infine, una stoccata al governo uscente sul Pnrr, un piano sul quale ci sono «ritardi evidenti che saranno difficili da recuperare e che verranno però attribuiti al nuovo governo, probabilmente anche da parte di chi li ha determinati».
Sullo sfondo Fratelli d'Italia inizia a guardare verso le Regionali del Lazio, una sfida elettorale che per un partito che prima della definiva esplosione, aveva un baricentro fortemente romano e laziale assume un significato importante.
Questa mattina, sotto la regia del coordinatore regionale Paolo Trancassini, si terrà un incontro tra i parlamentari e i consiglieri regionali del Lazio «per analizzare il risultato elettorale e la futura programmazione nel territorio». Un'occasione per iniziare a definire la strategia e lanciare l'offensiva per riconquistare il palazzo della Pisana, una volta che Nicola Zingaretti sarà ufficialmente approdato in parlamento.
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