Renzi: "La mia sinistra non ha bisogno di esami del sangue"

Il premier scrive a Repubblica: "La mia sinistra non ha bisogno di esami del sangue". Con Berlusconi e Verdini? "Solo per cambiare le regole del gioco"

Renzi: "La mia sinistra non ha bisogno di esami del sangue"

Se c'è una cosa che non si può rimprovere a Renzi è la chiarezza nelle scelte. Punta gli obiettivi e li persegue. Che ci riesca o meno è tutto da vedere, ma questo fa parte del gioco e vale per tutti i leader. Appena diventato segretario del Pd ha fatto una scelta precisa, traghettando il partito nella "famiglia" socialista europea. Cosa che prima di lui nessuno, nel Pd, era riuscito a fare (o aveva voluto fare), tenendo il partito in un limbo "assurdo": in Europa non era né carne né pesce, non stava né con la sinistra riformista, né con i Popolari (che al parlamento di Strasburgo sono il centrodestra). Ma al di là delle etichette e delle bandiere la politica si giudica soprattutto dall'azione di governo. La riforma del lavoro, meglio nota come Jobs Act, è uno dei punti più importanti dell'azione di governo. Uno snodo cruciale che ha creato e crea a Renzi non pochi problemi coi sindacati e con una parte del suo stesso partito. Renzi viene accusato di essere di destra, di portare avanti un modello "thatcheriano". Qualcuno si è spinto più in là e l'ha accostato - per decisionismo e voglia di rottamare i vecchi sepolcri della sinistra - nientepopodimeno che a Bettino Craxi (che lui si guarda bene di rivalutare, anzi, quando può ne prende le distanze). Il presidente del Consiglio non sembra dare troppo peso alle critiche e va avanti. Ma certe osservazioni forse lo hanno ferito. Altrimenti non si spiegherebbe perché abbia deciso di prendere carta e penna e vergare una lettera-lenzuolata al quotidiano la Repubblica.

La missiva viene pubblicata oggi dal giornale di Ezio Mauro, ovviamente in prima pagina. Il titolo è questo: "La mia sinistra non ha bisogno di esami del sangue". Già si capisce dove voglia andare a parare Renzi.

"Il Pd sa da che parte stare", cioè da quella "dei più deboli, dalla parte della speranza e della fiducia in un futuro che va costruito insieme". E ancora: "Ho sempre rivendicato, con fierezza ed orgoglio, l'appartenenza del Partito democratico alla sinistra, alla sua storia, la sua identità plurale, le sue culture, le sue radici. Per questo ho spinto al massimo perché il Pd, dopo anni e anni di dibattito, fosse collocato in Europa dove è adesso, dentro la famiglia socialista della quale oggi, grazie al risultato delle ultime elezioni, è il primo partito con oltre 11 milioni di voti". "So che Repubblica - spiega il premier - non vuole farci un esame del sangue, come invece pretenderebbe qualcuno anche dalle parti del sindacato". Renzi conferma però "profondo rispetto per il lavoro e per i lavoratori che il sindacato rappresenta".

Sulla riforma del lavoro si toglie un sassolino dalle scarpe: "Se entriamo nel merito del Jobs Act vediamo che non c'è riforma più di sinistra". Rifila un siluro al sindacato "che non ha manifestato contro la Legge Fornero e oggi manifesta contro il Jobs act". E insiste: "Io mi faccio molte domande, mi interrogo e sento la responsabilità dei cambiamenti che stiamo portando, che è autentica e non di facciata. Ma vorrei che anche il sindacato e più in generale il mondo della sinistra si chiedesse se non ci sia una grande opportunità da cogliere".

A chi gli rimprovera (compresa Repubblica in un editoriale citato dal premier) di flirtare con Berlusconi e Verdini, risponde: "Il Pd ha chiara la differenza tra maggioranza e opposizione così come ha chiaro che le regole del gioco si prova a cambiarle assieme per poi tornare a dividersi su tutto il resto". Insomma, nessun inciucio, nessun gioco strano per governare insieme facendo finta di stare separati. L'unica collaborazione è sulle regole da scrivere. Poi ognuno sulla sua strada. Chissà se (stavolta) gli crederanno.

Non poteva mancare, nella lunga lettera-sfogo a Repubblica, il Pantheon della sinistra renziana, quelli che, secondo Renzi, sono i punti di riferimenti, la bussola di una sinistra moderna. Cita questi nomi: Berlinguer e Mandela, Dossetti e Langer, La Pira e Kennedy, Calamandrei e Gandhi. Qualcuno, come Gad Lerner, storce subito la bocca: "Langer, Mandela, Berlinguer, La Pira… alla Leopolda non me li vedo proprio. Da Renzi una toppa peggiore dello strappo". Di socialista c'è pochino (solo Calamandrei). Qualche nome in più non avrebbe fatto male. Ma questa, forse, "è roba per vecchi". Molti non sanno nemmeno chi fossero questi leader, tolti Gandhi e Kennedy. E Renzi lo sa.

Per questo aggiunge: è soprattutto (la sinistra, ndr) "un futuro su cui lavorare insieme per risolvere i problemi delle persone, per dare orizzonte e dignità, per sentirsi parte e avere orgoglio di essere non solo di sinistra, ma italiani" (riappare il partito della nazione?). E ancora: "Ci sono due modi per cambiare l'Italia: farlo noi da sinistra. O farlo fare ai mercati, da fuori. Sostenere che le ricette sono le stesse cozza contro la realtà".

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