Il Totem dei dati come faro guida nella notte dell'epidemia si sta sgretolando. Il ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia conferma il via libera agli spostamenti tra regioni dal 3 giugno. Ma, avverte «a condizione che si rispettino i dati del monitoraggio: se una regione è ad alto rischio è evidente che non può partecipare alla mobilità interregionale». Boccia garantisce che «il monitoraggio quotidiano sull'andamento della situazione epidemiologica, regione per regione, costruito dal ministero della Salute è un modello molto sofisticato e che funziona molto bene». Ma in realtà i dubbi sulle presunte certezze che offrirebbero quei dati però sono già emersi con il primo report emesso la scorsa settimana dal ministero che indicava come in quel momento in tutte le regioni fosse calcolato un rischio basso tranne in tre con rischio moderato: Lombardia, Umbria e Molise. Possibile? Un rischio simile tra una regione con oltre 85mila casi e una, il Molise con meno di 500? Era stato lo stesso Istituto superiore di Sanità a specificare poi che ad esempio in un regione come il Molise dove i numeri sono molto bassi anche «piccole oscillazioni» fanno scattare in altro l'Rt, l'oramai famigerato indice di contagio. Dunque non si può tener conto soltanto di quell'indice ma di un insieme di dati forniti dalle regioni: i tamponi effettuati, i nuovi casi, la saturazione dei posti letto, il personale sanitario sul territorio. Appunto. Dati che arrivano in modo disomogeneo da regione a regione e spesso in ritardo. Se si tiene conto del fatto che per valutare i risultati dell'allentamento del lockdown ci vogliono almeno due settimane e che i dati sono in ritardo in media di una vuol dire che si riaprirà sulla base di informazioni vecchie e quindi in sostanza inutili. Anche il report emesso il 16 maggio si basava su dati vecchi di due settimane nel frattempo la situazione poteva essere cambiata.
Non solo. Durante la Fase 1 le regioni più diligenti nella trasmissione dei dati sono state l'Emilia Romagna e il Veneto, l'amministrazione più solerte anche per numero di tamponi eseguiti. Proprio ieri il governatore Luca Zaia, ha annunciato che i reagenti per processare i tamponi scarseggiano e che si è rotto «l'estrattore». Pessima notizia confermata dal professor Andrea Crisanti, responsabile del laboratorio di microbiologia di Padova. «Dall'inizio dell'epidemia le due macchine di circa 10 anni hanno lavorato 24 ore su 24 e alla fine hanno ceduto». In attesa che arrivi un nuovo macchinario Zaia spiega che si faranno esami pool, più tamponi insieme pur di non fermarsi. Ma è un esempio di come i dati possano arrivare a singhiozzo anche dalla regione che fino a questo momento è stata la più efficiente.
L'indice di trasmissione del contagio ieri era sotto l'1 in tutte le regioni dallo 0,8 dell'Abruzzo allo 0,1 della Val D'Aosta. Ma per calcolare con esattezza quel valore non basta avere il numero dei casi bisognerebbe anche specificare la tempistica, ovvero il momento in cui sorgono i primi sintomi. Ma spesso tra la segnalazione del sospetto e l'esecuzione del tampone passano anche troppi giorni e a quel punto l'indice rischia di non essere accurato. L'Rt poi non è l'unico indicatore utile a valutare la necessità di un ritorno al lockdown. Conta anche la capacità di risposta del territorio: lo stesso numero di casi ha un impatto diverso da regione a regione. L'assistenza domiciliare sarà più gestibile dove ci sono più medici sentinella e infermieri.
Insomma i dati che l'Istituto Superiore di Sanità dovrebbe rendere pubblici il 29 maggio e sulla base dei quali si deciderà quali regioni possono riaprire i confini rischiano di
essere datati e anche parziali. Saranno più determinati i comportamenti responsabili dei cittadini sui quali non caso insiste il governo. Anche per scaricare almeno in parte la responsabilità di un'eventuale nuova ondata.
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