La coincidenza è sinistra: ventiquattr'ore dopo la sentenza del processo sull'ex Ilva, la nuova gestione pubblico-privata della fabbrica annuncia altre dodici settimane di cassa integrazione per 4mila lavoratori. Nessuno ne parla, perché la stessa classe politica che esulta per le condanne ai malvagi capitalisti, è troppo presa dallo schierarsi a difesa del compagno Nichi Vendola, grazie anche al ritrovato garantismo last minute dello schieramento giallorosso. Letta, Bersani, Boccia, perfino Roberto Saviano: tutti vicini all'ex governatore, dando per scontata la sua innocenza e per ovvia la colpevolezza degli imprenditori. E così mentre l'Italia, lasciata libera da divieti, aggancia la ripresa economica, Acciaitalia, l'azienda voluta dal governo Conte per dare un futuro all'ex Ilva, dichiara la propria impotenza: «La società non è nelle condizioni di assicurare l'immediata e totale ripresa in esercizio di tutti gli impianti di produzione e del completo assorbimento dell'intera forza lavoro» e questo «nonostante nel generale contesto di mercato siano oggi percepibili segnali ottimistici». Il futuro della grande acciaieria, si spera, non è ancora segnato. Ma l'andazzo è chiaro: procedimenti giudiziari infiniti e pieni di ombre che processano innanzitutto la logica del profitto come male primigenio. E dall'altro lato una classe politica che gioisce delle condanne e intanto, di fronte a un problema complesso, risponde con facili slogan. Eppure cosa stia succedendo a Taranto è evidente: un tribunale ha condannato a furor di popolo la gestione privata della fabbrica e non quella pubblica, né chi ha permesso di costruire le case a ridosso dello stabilimento, chi ha amministrato la fabbrica dopo i sequestri senza risolvere i problemi. Ma da Letta al governatore Emiliano bisognerebbe soprattutto chiedere come mai in tutti questi anni non si sono materializzate le decantate alternative «green». Dove sono le burrate esportate dallo spazioporto di Grottaglie? E l'«acquario green» promesso da Mario Turco, il sottosegretario di Conte che veniva a Taranto a illustrare il futuro felice che aspettava la città una volta liberata dalla fabbrica cattiva? E gli allevamenti di cozze che dovevano sostituire l'acciaio secondo Barbara Lezzi? Tanti strani progetti tanti, zero realizzati. La pandemia ha certamente estremizzato i connotati dei «chiusuristi», ma ha anche mostrato in tempo reale quale sia il ciclo economico disegnato dalle loro ricette: stop alle imprese e sovvenzioni statali con con denaro pubblico che non c'è. E non è una novità. Scriveva il grande economista liberale Sergio Ricossa: «Consuntivo degli anni Settanta.
Un decennio para-rivoluzionario, dai pericolo del quale i governi italiani si sono difesi promettendo tutto a chi chiedeva tutto, e perciò aumentando la spesa pubblica all'impazzata». Il finale è noto: un'imposta di successione qui, un'Imu là e la redistribuzione è servita. Insieme al declino.
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