A giudicare dalle reazioni poco composte di Anm, correnti dei magistrati e pm d'assalto, l'«accordo di maggioranza sulla riforma Cartabia del Csm contiene elementi assai positivi e di notevole impatto», dice il responsabile giustizia di Azione, Enrico Costa.
Lo scontro politico però è ancora forte, dentro la commissione Giustizia della Camera che ieri ha proseguito l'esame del testo e degli emendamenti a singhiozzo e tra molte polemiche, rimbalzate anche nell'aula di Montecitorio. Con un ostruzionismo non dichiarato ma palese da parte di due membri della commissione, Cosimo Ferri di Italia viva e Giusi Bartolozzi del gruppo Misto, che fino a ieri sera ha fatto sì che venisse approvato solo il primo degli emendamenti dell'esecutivo che sono stati concordati in maggioranza, quello che riordina la disciplina del collocamento fuori ruolo dei magistrati. Guarda caso, fanno notare con una punta di malizia molti colleghi, «entrambi magistrati», e quindi sospettati di avere un punto di vista molto «interno» alle correnti.
È comunque ancora presto per dire se si riuscirà ad arrivare al voto in assemblea per il 19 aprile, come fissato dal calendario, senza un contingentamento drastico dei tempi di esame dei 140 emendamenti che restano pendenti, di cui 40 del governo. Tanto più che poi la riforma dovrà passare al vaglio del Senato, dove i numeri sono più precari. E dove in molti danno per scontato che verrà posta la questione di fiducia, una volta portato a casa il testo alla Camera, per evitare ulteriori slittamenti. «Faremo di tutto e di più per mantenere la data del 19 aprile, nel rispetto ovviamente delle prerogative del Parlamento», assicura il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto. I lavori della commissione riprenderanno stasera, dopo il voto di fiducia sul dl Bollette chiesto ieri dal governo, e non si esclude di andare avanti ad oltranza anche in seduta notturna.
La riforma del Csm è il terzo tassello della riforma della giustizia firmata dalla Guardasigilli, ed è di particolare urgenza visto che a luglio scadrà l'attuale Consiglio, travolto da un'ondata senza precedenti di scandali che hanno rivelato la natura tutta corporativa dell'organo di autogoverno della magistratura, e gli scambi di interessi correntizi alla base delle carriere. Dopo infinite trattative e mediazioni, la ministra è riuscita a trovare un accordo di massima della maggioranza, con una serie di modifiche al testo in cui ciascuna forza politica ha rinunciato ad alcune istanze e ne ha ottenute altre. Così la Lega, ad esempio, ha ritirato gran parte dei propri emendamenti conservandone alcuni di bandiera che riprendono i contenuti dei referendum sulla giustizia, con una scelta «responsabile e legittima», afferma Costa. Forza Italia ha rinunciato al «sorteggio temperato» dei candidati al Csm, i Cinque stelle hanno accettato forti limitazioni al passaggio di carriera tra giudice e pubblico ministero e ottenuto un deciso stop alle cosiddette «porte girevoli» che consentono ai magistrati di passare allegramente dalla politica all'esercizio della giurisdizione.
A mettersi ancora di traverso rimane Italia viva, che ieri in commissione ha votato ripetutamente in difformità dalle indicazioni del governo: «Una battaglia solitaria che dispiace, visti i tanti risultati positivi ottenuti dalla mediazione Cartabia», dice il capogruppo di Forza Italia in commissione, Pier Antonio Zanettin. «Noi abbiamo sacrificato, sia pur con dolore, il sorteggio temperato dei candidati al Csm, visto che la Guardasigilli ha detto che era a rischio incostituzionalità, e Pd e M5s si sono allineati. Del resto facciamo parte di una maggioranza arcobaleno, in cui è necessario bilanciare le posizioni». Ma nello stesso tempo, sottolinea, «si sono portati a casa risultati storici da rivendicare: abbiamo praticamente chiuso le porte girevoli tra magistratura e politica, raggiunto una drastica separazione delle funzioni tra pm e giudice, con la riduzione ad un solo passaggio tra le due carriere».
E infine c'è l'introduzione del «fascicolo» sulle performance dei magistrati per poter finalmente valutare oggettivamente, con un minimo di meritocrazia in base ai risultati e alle capacità, la loro progressione di carriera.
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