Già procuratore della Repubblica a Milano, già leader indiscusso delle «toghe rosse» di Magistratura democratica, Edmondo Bruti Liberati è stato anche presidente dell'Associazione nazionale magistrati: quella Anm che ora prepara lo sciopero contro la riforma della giustizia firmata dal ministro Marta Cartabia. Tanto rumore per nulla, dice Bruti. La riforma è semplicemente «modesta» e lo sciopero dell'Anm «non ha senso».
Cos'è davvero la riforma Cartabia? Un topolino partorito dalla montagna? O un attentato all'autonomia dei giudici, devastante e punitiva come dice Md, la sua vecchia corrente?
«Si partiva dallo sgangherato disegno di legge Bonafede. È stato riscritto dalla Commissione Luciani, ma poi in Commissione giustizia vi sono stati emendamenti ispirati ad un spirito di vendetta e di umiliazione della magistratura. Le punte estreme sono state abbandonate: il risultato è una riforma modesta, ma nulla a che vedere con la riforma Castelli che, quella sì, stravolgeva l'impianto costituzionale. Per questo come presidente dell'Anm ho promosso allora il primo vero sciopero della storia della magistratura. Oggi uno sciopero non ha senso».
I sostenitori dello sciopero sostengono che il fascicolo sulle performance del magistrato bloccherà le sentenze innovative e avanzate. Ma davvero i magistrati sono così pavidi da adeguarsi a sentenze che non condividono per paura di un brutto voto in pagella?
«La giustizia si regge sul presupposto che si può sbagliare e che si possono avere diverse interpretazioni. L'attività dei magistrati, giudici e pm, va valutata nel complesso. Vi è il sistema delle impugnazioni perché le valutazioni possono essere diverse. Se poi un pm avesse il 100% dei successi si direbbe non che quel pm è un genio, ma che i giudici successivi si sono appiattiti sulla prospettazione dell'accusa. Allora stabiliamo un numero diverso? 75%, 80% o 60%? Se andiamo ai numeri entriamo nell'assurdo, che tale rimane anche se si pretende di nobilitarlo con l'inutile anglismo delle performance. Bisogna dire che nel testo poi approvato è stata abbandonata la pretesa di parametri numerici».
Lei ha portato il suo saluto al nuovo procuratore di Milano di cui Magistratura democratica aveva cercato di bloccare la nomina citando l'hotel Champagne. Ritiene che sia arrivato il momento di girare pagina e archiviare il caso Palamara?
«La vicenda dell'hotel Champagne è penosa, ma la magistratura ha dato il segno di voltare pagina: i magistrati a vario titolo coinvolti si sono subito dimessi dal Csm, prima e indipendentemente da procedimenti disciplinari. Questo in un Paese in cui non si dimette mai nessuno».
Il 12 giugno si voterà per i referendum sulla giustizia. Potrebbero smuovere le cose?
«Sì, ma largamente in peggio. Della legge Severino non si abroga solo la sospensione, anche a seguito di una condanna non definitiva (che può essere ragionevole), ma anche tutte le disposizioni sulla incandidabilità di condannati definitivi per reati gravi. Con la limitazione delle misure cautelari capiterà che l'imputato arrestato in flagranza, magari con in tasca un appunto con la programmazione degli obbiettivi successivi, sarà condannato per direttissima e immediatamente scarcerato. Facile immaginare gli attacchi al lassismo della magistratura magari da parte di taluno dei promotori del referendum».
Fissare un solo giorno per il voto non significa puntare al mancato raggiungimento del quorum? Non è interesse anche dei magistrati che il numero più alto possibile di italiani possa dire finalmente come la pensa su questo argomento cruciale?
«La storia del referendum ci insegna che quando le scelte proposte dai quesiti erano chiare e toccavano problemi sentiti gli italiani sono andati a votare».
Se fosse ancora presidente
dell'Anm inviterebbe a boicottare il referendum?«Darei le mie valutazioni sul contenuto dei referendum ma mi guarderei bene dal dare indicazioni ulteriori. Ciascun cittadino magistrato valuterà con la sua testa».
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