«Chiediamo al Parlamento europeo e al Consiglio di raggiungere un accordo sulle proposte legislative» sulla riforma del Patto di stabilità e crescita «il più rapidamente possibile, in modo da rispondere adeguatamente alle sfide future». Ieri un portavoce della Commissione Ue, in vista dell'Eurogruppo/Ecofin straordinari del 7 e dell'8 dicembre, ha lanciato un appello disperato ai governi dell'Ue affinché non torni in vigore la vecchia versione disfunzionale dell'accordo di Maastricht.
Come ha detto il premier Giorgia Meloni sabato scorso, «vogliamo e dobbiamo essere ambiziosi, però dobbiamo riuscire a costruire una riforma che sia possibile rispettare, cercando delle sintesi tra punti di vista e interessi che sono diversi». La scelta di toni soft e molto diplomatici ha il chiaro intento di non esasperare il confronto ancor prima del suo inizio, ma il messaggio di fondo è chiaro. L'Italia, pur avendo aumentato il deficit, ha varato una legge di Bilancio incentrata su temi cari all'Europa: il sostegno ai redditi deboli, la progressiva riduzione della spesa primaria si accompagnano alle riforme previste dal Pnrr.
Il problema è che la proposta della presidenza spagnola dell'Ue, come recentemente emendata, non è del tutto favorevole agli interessi italiani. A fronte dell'obbligo di riduzione del debito/Pil dell'1% annuo e dell'impegno annuo a tagliare di 0,5 punti percentuali il deficit/Pil per riportarlo al 3% entro un periodo predeterminato (4 oppure 7 anni) si includono come «fattori rilevanti» che evitano l'apertura di una procedura di infrazione le spese per la difesa. In questo modo, si lascia un cuscinetto del 0,5-0,75% alla politica di ciascun governo.
Ma l'Italia finora non ha avuto soddisfazione sullo scomputo dal disavanzo degli investimenti in green e transizione digitale, che costituiscono l'ossatura del Pnrr stesso. Resta il fatto che senza un'intesa soddisfacente il governo Meloni non accelererà la ratifica del Mes (con la clausola che l'Italia non vi faccia ricorso) che l'Europa continua a invocare dall'ultimo Paese che non l'ha ancora approvata. Al momento non è escluso che la contesa possa finire ai «tempi supplementari» nel Consiglio Ue del 14-15 dicembre.
Intanto proprio dal Pnrr giunge una novità che potrebbe migliorare la vita delle imprese, sbloccando i 49,6 miliardi di crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione. La modifica del Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede, infatti, alcuni nuovi impegni. Tra questi, si legge nell'addendum della Commissione, entro la fine del 2024 «l'entrata in vigore di una legislazione che introduca misure che consentano di assegnare a terze parti i crediti dopo di 30 giorni di silenzio/inazione della pubblica amministrazione». Insomma, i creditori potranno scontare le fatture presso banche o altri istituti finanziari per ottenere quanto dovuto.
Bisognerà vedere come sarà declinata la norma e che successo possa riscuotere visto che il livello attuale dei tassi applicati ai fidi per lo sconto fatture si attesta tra l'11 e il 14% annuo.
Entro il primo trimestre dell'anno prossimo, specifica l'Annex, bisognerà poi varare una legislazione che assicuri flussi di cassa atti a pagare i debiti entro i limiti imposti dall'Unione Europea (60 giorni per la sanità, 30 giorni per tutti gli altri settori). Questo input obbligherà il Tesoro a un'ulteriore cautela sui conti. Ecco perché la riforma del Patto è cruciale.
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