"Le riforme fondamentali dei governi Berlusconi"

L'ex presidente di Confindustria: "Ha recepito la voglia di cambiamento e ridato smalto al sistema"

"Le riforme fondamentali dei governi Berlusconi"
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Antonio D'Amato, presidente di Confindustria dal 2000 al 2004: qualcuno dice che la sua elezione al vertice degli industriali ha anticipato di un anno il trionfo elettorale di Berlusconi e del centro destra alle politiche del 2001. È così?

«La mia elezione alla presidenza di Confindustria segnò la fine del consociativismo e del blocco sociale che aveva paralizzato ogni processo riformista del Paese. Le imprese italiane erano di fatto schiacciate da una mancanza di competitività del sistema Italia, che rimaneva ancorato a vecchi tabù che impedivano ogni riforma del mercato del lavoro e ogni recupero di flessibilità. Al tempo stesso, le imprese dovevano affrontare le nuove spinte di una globalizzazione sempre più avanzata e più dura. La voglia e la necessità di cambiare, in Confindustria come nella società, erano un'esigenza condivisa dalle forze più dinamiche dell'economia italiana, chiaramente consapevoli che senza riforme strutturali il sistema delle imprese non avrebbe retto la competizione mondiale e l'Italia avrebbe continuato ad arrancare, nonostante le sue potenzialità e la sua grande vocazione all'imprenditorialità. L'esigenza di cambiamento che vivevano gli industriali, proprio perché più esposti alla competizione mondiale, anticipò un bisogno più diffuso di riforme vere, liberali, capaci di valorizzare le potenzialità del nostro paese che poi si tradusse anche nel successo elettorale di Berlusconi, che seppe intercettare questa voglia di cambiamento».

Lei arriva al vertice di Confindustria nel momento dell'instabilità di due pilastri del sistema Italia. La Fiat è in crisi e Mediobanca perde nel 2000 Enrico Cuccia. L'arrivo di Berlusconi sembra perfetto per avviare grandi riforme. Si puó dire che la sua Confindustria fu la più berlusconiana, e forse anche l'unica?

«La Confindustria di quegli anni non aveva paura di prendere posizioni chiare: sostenere il governo se portava avanti le riforme necessarie, contrastarlo se invece rallentava la sua spinta riformista. Gli anni 2000-2004 furono gli anni di una svolta radicale nell'economia, nell'imprenditoria e nella politica. Confindustria rappresentava la necessità del cambiamento e impresse una spinta riformista molto forte. Il governo Berlusconi fece propria gran parte del programma di Confindustria proprio al nostro convegno di Parma (il vostro programma è il mio programma, disse) e in quegli anni furono realizzate alcune riforme fondamentali che hanno ridato smalto e forza al nostro sistema industriale».

Per qualcuno il Cavaliere vinse le elezioni proprio grazie alla svolta di Parma. Poi con Berlusconi al governo riusciste a varare un pacchetto di riforme liberali: sul fronte del lavoro, del fisco e del diritto. Ce le ricorda?

«La più importante di tutte fu la riforma del mercato del lavoro con il recepimento della direttiva europea sul contratto a tempo determinato, che da oltre due anni i governi precedenti avevano completamente congelato. Poi la modifica dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, la legge Biagi (che costò la vita al suo autore, barbaramente massacrato dalle Brigate Rosse), la riforma delle pensioni che recuperava sostenibilità finanziaria mantenendo però equità sociale e tutelando comunque i diritti quesiti. La riforma fiscale che si proponeva di ridare più certezza del diritto ai contribuenti. Vennero poi approvate le norme che segnarono l'inizio di un processo di semplificazione della pubblica amministrazione e la legge obiettivo per accelerare la realizzazione di infrastrutture e investimenti pubblici».

Sull'articolo 18 il governo era con voi ma quello scontro sociale fu una battaglia persa. Se potesse tornare indietro la rifarebbe?

«Andò male perché lo scontro sociale e politico che nacque in quegli anni rinfocolò tensioni terroristiche che costarono la vita a Marco Biagi. Ma sul piano delle riforme andò bene perché facemmo quella dell'articolo 18 e vincemmo anche il referendum promosso da Rifondazione comunista. Furono anni duri ma anche anni straordinari nei quali realizzammo le più importanti riforme strutturali per favorire la competitività. Certo, non tutte quelle che sarebbero servite, e ancora tante ce ne sono da fare, ma rompemmo la logica dei veti incrociati e affermammo il principio che gli accordi si facevano con chi ci stava. Rompemmo il diritto di veto della Cgil e con il governo, con la Cisl, la Uil e le altre organizzazioni datoriali creammo un'alleanza per la modernizzazione e la competitività dell'Italia.

Dunque, sono orgoglioso delle battaglie fatte che hanno reso possibile all'industria italiana di affermarsi nel mondo. Furono anche gli anni in cui lo stesso Mezzogiorno riprese a crescere riducendo il divario con il Nord».

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